Il commento odierno è stato anticipato, per così dire, dalle ipotesi fatte ieri.
Il comportamento dei mercati, incerto nei giorni precedenti, ha effettivamente seguito le mie attese, che nel commento di ieri ho cercato di illustrare.
Innanzitutto, abbiamo avuto la conferma che la chiave di volta della seduta di ieri sarebbe stata il dato sull’inflazione USA di dicembre, comunicato alle 14,30. Prima non è successo nulla di significativo e subito dopo il dato i mercati hanno preso una chiara direzione con decisa accelerazione.
L’inflazione core di dicembre è stata benigna, perché è uscita leggermente più bassa delle attese degli analisti. Invece del dato annuo stimato in +3,3%, l’Ufficio statistico USA ha comunicato +3,2%. Non solo non si è visto un rialzo, ma neppure la conferma della velocità del mese precedente. Dopo tre mesi ad andatura di crociera stabile al +3,3%, ben oltre l’obiettivo FED del 2%, a dicembre ha ricominciato a rallentare. I mercati obbligazionari, che avevano passato oltre un mese a scontare una maggior aggressività FED, portando i rendimenti sul Treasury decennale a salire di ben 64 punti base, dal 4,15% del 6 dicembre al 4,79% del 14 gennaio, ieri hanno potuto tirare un sospiro di sollievo e restituire ben 14 punti base di rendimento in una sola seduta, ridimensionandolo al 4,65%.
Segno evidente che ora i mercati si aspettano che la FED riprenda a tagliare i tassi ufficiali, come loro e lo stesso Trump gradiscono, in tempi non troppo lunghi. Certo, non nella prossima riunione FOMC del 28-29 gennaio, troppo ravvicinata e per la quale è già stata annunciata una pausa, ma in un futuro non lontano, a meno che gennaio recapiti quell’impennata dei prezzi che a dicembre è stata evitata. Ma intanto c’è qualche settimana per gioire e riprendere il Trump Trade.
Ieri i mercati azionari sono immediatamente schizzati in alto come una molla all’annuncio del benevolo dato sull’inflazione USA. Il future su SP500 ha preso all’istante un guadagno di quasi un punto percentuale e poi ha proseguito la salita per tutta la seduta. Al termine SP500 ha chiuso con +1,83%, mentre Nasdaq100 è tornato ai bei tempi con un robusto +2,31%, grazie al rialzo corale delle magnifiche 7, che ieri hanno fatto lievitare l’indice Mag7, che le misura, con un sontuoso +3,64%.
Deciso rialzo anche per le small cap dell’indice Russsell2000 (+1,99%), a dimostrazione che il dato sull’inflazione è piaciuto proprio a tutti, anche ai piccoli imprenditori che si grattavano la testa a vedere i rendimenti salire di continuo.
Sebbene l’inflazione che rallenta sia quella americana, hanno esultato anche gli indici europei, con in testa il Dax tedesco (+1,5%), che ha realizzato il suo primo massimo storico del 2025, ancora prima che ci riescano gli indici americani.
Degno di nota anche il +1,49% dell’indice italiano Ftsemib, che ha compiuto un balzo storico toccando quota 35.700. Non è il massimo storico, ma un massimo pluriennale, perché è un valore che l’indice italiano aveva abbandonato 17 anni fa, nel gennaio 2008.
Tecnicamente SP500 ha negato quel “testa e spalle” ribassista che nelle precedenti sedute aveva disegnato, ma non confermato con una chiusura sotto la neckline. La figura si trasforma ora in un canale discendente con l’indice che ieri è balzato assai vicino all’argine superiore, che potrebbe essere testato e magari superato di slancio qià questa settimana. Se avvenisse, avremmo un chiaro segnale di inversione rialzista, che decreterebbe la fine della correzione natalizia e l’intenzione di rimettere il Toro sul trono, accanto a Donald Trump. Il quale, in attesa dell’incoronazione, che avverrà lunedì prossimo, pare aver già fatto il suo primo miracolo, costringendo Hamas e Israele a firmare il cessate il fuoco per una tregua che porti a casa un po’ di ostaggi israeliani e alimenti il delirio di onnipotenza del nuovo sovrano USA.
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