Dopo il bruciante inizio di settimana mostrato lunedì dalle Magnifiche 7, e, per logica conseguenza, dall’indice tecnologico Nasda100 e dall’indice principale SP500, ieri i mercati USA hanno avuto necessità di una pausa, per digerire le prese di beneficio che sono arrivate da parte degli investitori che si pongono qualche domanda sul futuro dell’inflazione e dei tassi di interesse ufficiali nell’era di Trump 2 (la vendetta!), che comincerà tra poco più di un mese.
Il calo è stato generalizzato ed ha coinvolto tutti e 4 gli indici principali USA, dal -0,39% di SP500 al più ampio -1,18% del Russell2000 delle small cap.
Non ha destato preoccupazione il -0,43% dell’indice Nasdaq100, che ha stornato solo meno di un terzo del rialzo attuato il giorno precedente, quando sono stati superati per la prima volta nella storia i 22.000 punti, che ieri sono stati mantenuti a fine seduta. Del resto, lunedì l’indice aveva raggiunto l’ipercomprato sull’indicatore RSI(14) applicato al grafico a cadenza giornaliera, che misura con valori oltre 70 un livello eccessivo di rialzo. Le vendite di ieri hanno provveduto al rientro al di sotto della soglia critica dell’indicatore.
Segnalo, tra le Magnifiche 7, l’insistenza a salire da parte di Tesla, che continua a giovarsi del conflitto di interessi di Musk, proprietario della maggioranza delle quote del colosso delle auto elettriche (ma anche dell’Intelligenza artificiale applicata alla guida autonoma) ed ora anche membro dell’Amministrazione Trump. Con il rialzo di ieri (+3,6%) Tesla ha portato dopo 29 sedute ad oltre il +90% il guadagno realizzato dal giorno delle elezioni presidenziali. Il suo contributo è stato ieri determinante a mantenere in positivo l’indice Mag7 (+0,57%), ma non è bastato a fermare il calo dell’indice delle 100 maggiori società della tecnologia, dato che la maggioranza delle magnifiche ieri ha marcato visita. In particolare segnalo il caso di Nvidia, che ieri è scesa per la quarta seduta consecutiva e per l’ottava delle ultime 9 sedute e comincia a pagare l’eccessiva euforia vista per parecchi mesi. Ora sembra vivere una fase correttiva che comincia ad essere preoccupante, dato che proprio ieri ha completato un modello di testa e spalle ribassista da manuale, che proietta un ulteriore calo verso valori visti a settembre, dalle parti di quota 111 $.
Ma anche i settori dell’economia tradizionale non se la passano troppo bene. L’indice industriale Dow Jones, col calo di ieri (-0,61%) ha portato a nove la serie di sedute negative consecutive ed ha già quasi del tutto annullato il rally attuato dal 20 novembre al massimo storico del 4 dicembre. Per non parlare dell’indice delle small cap Russell 2000 che ospita solo piccole imprese quotate a Wall Street. Imprese che non hanno il proprietario che siede accanto a Trump alle feste, né che avrà un posto nella futura Amministrazione Federale USA. Per loro quel che conta è far quadrare i conti e temono l’inflazione, i tassi di interesse ancora alti e la guerra commerciale che Trump ha minacciato di scatenare contro nemici ed amici.
Questo indice, dopo aver migliorato il suo massimo storico nella seduta del 25.11, al culmine di 3 sedute di rialzo spettacolare, ha inanellato una serie significativa di sedute negative, seppur meno continue di quelle vissute dal Dow Jones, ma che lo hanno decisamente ridimensionato e nuovamente allontanato dalla gloria dei massimi storici.
Per i titoli legati più all’economia reale che alle narrazioni fantastiche o agli intrallazzi politici, la giornata di oggi viene vissuta con una certa apprensione, perché gli ultimi dati sull’inflazione hanno mostrato uno stop al percorso di rallentamento del ritmo di salita dei prezzi, che da 3 mesi stazionano su valori annuali parecchio superiori all’obiettivo che la FED vuole raggiungere.
La logica forse vorrebbe che la riunione odierna del FOMC della Federal Reserve valutasse una pausa nel processo di taglio dei tassi. Ma la FED sembra essere stata colta di sorpresa dalla resilienza dell’inflazione e non ha preparato adeguatamente i mercati ad una simile eventualità. Infatti, i mercati continuano a dare per scontato che questa sera venga deciso un nuovo taglio da -0,25% dei tassi ufficiali, portandoli al 4,50%.
Credo che la FED non si possa permettere di deludere i mercati proprio sotto Natale e a pochi giorni dall’insediamento di Trump, per non finire nel tritacarne degli insulti che il garbato neo-presidente le scaricherebbe addosso. Perciò credo anch’io che avremo il taglio. Ma la Conferenza Stampa di Powell dovrà trovare le parole giuste per portare i mercati ad aspettarsi una pausa in gennaio ed una attenta riflessione sui dati che arriveranno sull’inflazione di dicembre e di gennaio, nonché sugli effetti inflazionistici dei dazi che già sono stati promessi a destra e a manca.
Stasera le parole di Trump conteranno molto più dei fatti che prima della sua conferenza stampa saranno annunciati nel comunicato ufficiale.
Non ho molto da rilevare sui mercati europei, perché anch’essi ieri si sono mossi leggermente al ribasso (un po’ più pesantemente gli indici di Italia e Spagna per colpa delle prese di beneficio sui bancari) e pure loro attendono le parole di Powell. E’ vero che Lagarde nei giorni scorsi è stata chiara, promettendo ancora altri tagli ai tassi BCE, perché in Europa bisogna aiutare l’economia debole e la politica confusa. Ma è anche vero che, se la FED fermasse il tasso ufficiale USA al 4.5% per qualche mese, i tagli BCE troverebbero un ostacolo nel ruzzolone che avrebbe l’Euro, che già sta scendendo da qualche mese e vede ormai la parità col dollaro non poi così distante.
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