Si era percepito già lunedì che il bis della rutilante settimana elettorale sarebbe stato assi improbabile, perché l’euforia aveva raggiunto vette che avrebbero attirato prese di beneficio.
Se lunedì gli indici USA sono stati fermati dalla fatica accumulata a festeggiare la vittoria di Trump, migliorando i massimi storici dei suoi due indici più importanti (SP500 e Nasdaq100) per ben 4 sedute consecutive, ieri sono arrivate prese di beneficio più consistenti fin dalle fasi iniziali, che hanno prodotto una scivolata superiore al mezzo punto percentuale per SP500 e di circa -1% per Nasdaq100. Niente di drammatico, dopo la corsa post-elettorale, ma una giusta e salutare correzione degli eccessi, persino lieve nelle dimensioni.
Una discesa però sufficiente a confermare il pessimismo dei listini europei, che già in mattinata avevano una faccia ben diversa da quella che lunedì ha favorito un corposo rimbalzo. Così la slavina dei prezzi europei, che prima di pranzo aveva già annullato il rimbalzo di lunedì, dopo le prime battute di Wall Street si è trasformata in frana. Tutti i principali indici d’Europa, compreso Eurostoxx50 che li sintetizza, hanno chiuso su pesanti minimi, oltre -2% di perdita, la loro peggior seduta da inizio agosto.
Certo, non hanno tutti la faccia funerea di Eurostoxx50, che ieri è sprofondato fino in prossimità del minimo di settembre e, se dovesse rompere quel supporto, metterebbe nel mirino i valori decisamente più bassi realizzati ad inizio agosto. Non ce l’ha il Dax tedesco, nonostante la crisi di governo e la concreta probabilità di elezioni anticipate a febbraio, in concomitanza con l’insediamento di Trump, che fornirà armi di distruzione di democrazia ai sovranismi nostrani. L’indice azionario tedesco è ancora sull’orlo del burrone correttivo e per ora non vi è sprofondato. Col calo di ieri è arrivato in prossimità dei minimi di settembre, ma non li ha ancora sfondati, permanendo abbastanza a contatto con la media a 50 sedute. Però i margini di tolleranza si stanno stringendo anche per questo indice, che tradizionalmente guida l’azionario europeo, e richiedono una immediata reazione.
Le paure europee sono le solite: dazi, ostilità verso l’Europa da parte di Trump, guerre commerciali che rischiano di portare recessione globale e rianimare l’inflazione. Sono timori aggravati dalle nomine che Trump sta facendo nei posti chiave della sua amministrazione. In particolare, preoccupano due super falchi MAGA, Rubio alla segreteria di Stato e Walz alla Sicurezza Nazionale. Entrambi sono ostili verso la Cina e l’Iran ed appiattiti a favore di Israele e del governo Netanyahu.
Per il supergenius Musk è stato creato, in plateale conflitto di interessi, il nuovo Dipartimento dell’Efficienza Governativa, col compito di tagliare gli sprechi e modernizzare la macchina federale.
Va detto però che, dopo la chiusura europea, Wall Street ha recuperato qualcosa, limitando i danni ad un passivo di giornata piuttosto limitato.
La novità è il primo significativo calo di Tesla, forse perché gli affezionati estimatori del supergenius temono che la sua attenzione per l’azienda di auto elettriche venga limitata dai compiti politici assegnatigli da Trump. Le prese di beneficio hanno prodotto un calo di -6,15%, che può apparire rilevante. Ma, in confronto a quanto guadagnato nelle precedenti 4 sedute (+39%), la discesa sembra tutt’altro che preoccupante.
Del resto la tecnologia è riuscita immediatamente a compensare il contributo negativo di Tesla con la salita di quasi tutte le altre Magnifiche 7. Quanto basta per ridurre il calo giornaliero di Nasdaq100 ad un assai tollerabile -0,17%.
Non credo che il calo di Wall Street abbia innescato una correzione preoccupante. C’è troppo entusiasmo ancora da mettere nei prezzi e credo che, se correzione sarà, dovrebbe essere di poco conto. Non posso affermare con certezza che già oggi si possa vedere la ripresa del rialzo, ma non mi aspetto cali significativi prima della successiva gamba rialzista del rally di fine anno.
Nutro invece un certo pessimismo per l’Europa, che aveva già parecchi guai economici e geopolitici prima dell’arrivo di Trump 2, la vendetta. La sensazione che la nuova amministrazione USA preferisca il dittatore e ufficialmente ancora nemico Putin all’amicizia europea non mi rende affatto tranquillo sul futuro del nostro continente.
Neppure per gli indici azionari continentali. Potrebbe non bastare neppure il rally di fine anno di Wall Street per riportarli dove erano il giorno prima delle elezioni USA.
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