Il responso dei mercati, nella settimana elettorale americana, è stato molto chiaro, al di là della volatilità di qualche seduta: la vittoria di Trump è stata vissuta da Wall Street come un toccasana e, al contrario, come una calamità dagli indici europei.
Basta confrontare la performance settimanale degli indici USA (SP500 +4,7%, Nasdaq100 +5,4% e Russell2000 +8,6%) con quella del principale europeo (Eurostoxx50 -1,55%) per constatare l’opposto giudizio dei mercati azionari tra le due sponde dell’Atlantico sull’esito delle elezioni USA.
E’ difficile ricordare una settimana così divergente tra gli indici USA e quelli europei. Un po’ ci assomiglia la seconda settimana del giugno scorso, quando ci fu un analogo divario di performance, sempre a favore degli USA. Ma allora il motivo fu il crollo europeo dovuto alla disfatta elettorale di Macron ed il rischio di sovranismo Lepenista in Francia, mentre gli indici USA salivano leggermente.
Questa volta in USA regna l’euforia per le promesse fatte da Trump in campagna elettorale, a forza di slogan e senza il minimo dettaglio, unicamente basati sul motto “aggiusto tutto io”: abbassare l’inflazione con i dazi nei confronti del resto del mondo (un’assurdità che farebbe bocciare Trump ad un qualsiasi esame di economia); tagliare le tasse alle imprese e ai ricchi senza preoccuparsi dell’aumento del debito, che ha già raggiunto ora il 100% del PIL; tornare indietro sulle politiche climatiche e probabilmente uscire nuovamente dalla conferenza permanente contro i cambiamenti climatici, facendo perdere al mondo intero anche l’ultimo treno per mantenere sotto il 2% l’incremento della temperatura mondiale; fermare con una telefonata le guerre d’Ucraina e del Medioriente.
In Europa invece si afferma giustamente la preoccupazione per le spinte sovraniste innescate dalla corsa europea al trumpismo da parte dei partiti di destra, con l’aggravante della crisi di governo in Germania, che porterà a nuove elezioni e fornirà agli estremisti di destra di AFD l’occasione di imitare Trump. A questi motivi politici si aggiunge il dramma di un’economia che sta pagando i costi di una lunga e drammatica guerra alle porte di casa con una stagnazione che potrebbe trasformarsi in forte recessione grazie alla chiusura all’interscambio portata dai dazi di Trump.
Così la settimana ha portato SP500 a segnare il suo cinquantesimo massimo storico, superando anche il livello psicologico di quota 6.000 punti. Massimi storici migliorati anche dal Nasdaq100, che però sente la fatica delle Magnifiche 7 ed è stato trascinato dalla performance stellare di Tesla (+32,3% nella settimana elettorale), che ha sfruttato il ruolo assunto dal suo fondatore Elon Musk come “deus ex-machina” della campagna elettorale e “super genius” (copyright di Donald Trump).
Persino il ritardatario indice Russell2000 delle small cap ha superato i valori di inizio 2022 ed avvicinato il suo massimo storico del lontano 8 novembre 2021.
A conferma del ruolo di risolutore di tutti i problemi assegnato a Trump dai mercati, va segnalato che anche il Bitcoin, che Donald ha promesso di promuovere ad asset “per bene” senza troppa regolamentazione, la scorsa settimana ha migliorato il suo massimo storico e stamane viaggia sopra quota 82.000 $, mentre l’oro, tipico bene rifugio, ha visibilmente corretto i suoi eccessi, dato che il nuovo bene rifugio pare essere diventato il furfante miracolato.
La settimana che si apre oggi potrebbe estendere ancora un po’ il rally, che però, per esser trasformato in rally di fine anno, avrà necessità di un po’ di correzione che scarichi gli oscillatori che misurano le condizioni grafiche di eccesso, che sono ormai prossimi a livelli di “ipercomprato”.
L’Europa invece dovrà tentare l’ennesimo rimbalzo per allontanarsi dall’orlo del burrone, cioè i minimi di settembre (area 4.730 di Eurostoxx50) ed evitare pericolosi avvitamenti ribassisti.
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