Il Trump trade a Wall Street è proseguito anche ieri, sebbene con un’andatura un po’ più moderata di quella senza freni di mercoledì.
Comunque, la giornata dell’azionario è stata bella robusta ed ha riservato a SP500 e Nasdaq100 il secondo gap rialzista consecutivo in apertura di seduta e la seconda immediata accelerazione, senza voltarsi indietro. Con tali premesse poteva mancare il miglioramento del massimo storico dei due indici principali? Certamente no. Infatti, SP500 (+0,74%) è arrivato a quota 5.984, praticamente sulla soglia dei 6.000 punti ed oggi basterà davvero solo un altro minuscolo passettino per mandare nella storia la data odierna come quella del superamento dei 6.000 punti. Nasdaq100 (+1,54%), abituato ad alte vette e passi più lunghi, ha scavalcato abbondantemente quota 21.000, portando l’asticella a 21.133 ed oggi sembra aspirare chiudere una settimana gloriosa con un nuovo record.
La corsa rialzista dei due indici ieri ha avuto solo una pausa di poco più di un’ora e mezza, a partire dalle 19 europee, perché occorreva dedicare un po’ di attenzione e concedere almeno un po’ di suspense alla riunione della FED. Ieri però non abbiamo assolutamente visto l’ansia e l’incertezza delle volte precedenti, come se dalla FED dipendesse il futuro, ma solo una cortese pausa nei festeggiamenti, perché da tre giorni il futuro dipende da Donald.
Alle 20 è arrivata la scontata decisione di tagliare i tassi di un quarto di punto, con un comunicato che non vede rischi aggiuntivi che impediscano di procedere con la normalizzazione dei tassi. Prima affermazione che esclude che Trump sia un rischio.
Un po’ più di pepe era previsto per la Conferenza Stampa di Powell delle 20,30, perché subito dopo l’elezione di Trump si erano sparse voci sulla futura rimozione di Powell dalla Presidenza della FED. A domanda esplicita, Powell ha risposto che non se lo aspetta, e che la legge, comunque, lo impedisce. Molto più interessante è stata la risposta alla domanda se la FED avrebbe considerato gli effetti dell’elezione di Trump nelle sue valutazioni monetarie. Molti economisti, infatti, hanno sostenuto che, siccome Trump, dopo aver ripetuto il mantra che i democratici non sono stati capaci di controllare l’inflazione, ha “coerentemente” promesso politiche che dovrebbero far salire i prezzi, la FED potrebbe essere costretta a rialzare gli argini monetari. Ma Powell ha risposto che nel breve periodo le elezioni non avranno alcun effetto sulle decisioni della FED. Secondo benigno disinteresse per Trump.
Questa risposta ha dato il via libera ai mercati per la continuazione della festa, soffiando sul fuoco dell’entusiasmo e permettendo ai listini di chiudere la seduta con un altro passo avanti rialzista.
Ovviamente non possiamo pensare che questa euforia possa durare in eterno. Gli indicatori di eccesso, come il RSI(14) applicato al grafico a cadenza giornaliera, rilevano livelli già prossimi all’ipercomprato per i due principali indici USA. Perciò qualche spazio di ulteriore brindisi permane, ma diventa sempre più esiguo ad ogni ulteriore salita. Un po’ di correzione comincia a diventare naturale e addirittura salutare, sebbene la settimana sia destinata a terminare con un saldo settimanale largamente positivo.
Non altrettanto può affermare chi osserva l’andamento dell’azionario europeo, che ieri ha tentato un po’ di rimbalzo, anche corposo per il Dax tedesco (+1,7%) e dignitoso per Eurostoxx50 (+1,07%). Ma ancora troppo poco per colmare lo svarione di mercoledì ed il colossale ritardo accumulato nei confronti dell’indice USA SP500 questa settimana. Una settimana che per gli indici europei sarà assai problematico riuscire a salvare dal segno negativo rispetto al venerdì precedente.
Ieri si è visto anche un po’ di rimbalzo per l’oro, che ha ripreso qualche estimatore dopo il taglio dei tassi USA, mentre il Bitcoin ha ritoccato di poco il suo massimo storico di mercoledì, portandolo a 77.500 $, ma ha mostrato il fiato un po’ corto per la stanchezza accumulata con la forte impennata mostrata dopo la vittoria del suo estimatore Trump.
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