Ieri abbiamo potuto assistere all’ennesima sorpresa di questa pazza estate.
Dopo il crollo abbastanza improvviso di fine luglio - inizio agosto, il successivo recupero quasi completo nella restante parte di agosto, il nuovo ribasso di inizio settembre, le sorprese sembrano non finire mai. Anzi, sembrano essere paradossalmente diventate l’unica cosa che ci dobbiamo attendere.
Ieri ne sono arrivate addirittura un paio. La prima ha riguardato l’inflazione USA di agosto, comunicata alle ore 14,30, che ha presentato un rialzo mensile dei prezzi al consumo dell’indice globale di +0,2%, come a luglio e come da attese degli analisti. Dov’è la sorpresa? Non qui. Se vogliamo, può essere sembrato un po’ strano che il dato annuale sia sceso in modo marcato dal 2,9% di luglio al 2,5% di agosto, avvicinando parecchio l’obiettivo della FED. Ma questo si attendevano gli analisti, poiché dal calcolo del dato annuale è uscito il mese di agosto 2023 (che misurò una salita mensile da +0,5%) per far posto al più basso +0,2% di agosto 2024. I conti tornano con l’arrotondamento dei centesimi.
La sorpresa è arrivata dal dato Core, quello che toglie dal paniere di riferimento i prezzi di energia ed alimentari freschi. I prezzi al consumo Core di agosto sono saliti di +0,3%, più del +0,2% di luglio, di cui gli analisti si attendevano la ripetizione. Così l’inflazione core annuale misurata ad agosto è rimasta al 3,2%, come era a luglio. Questo significa che i prezzi core rallentano molto più lentamente di quelli globali e sono ancora abbastanza distanti dall’obiettivo del 2% che vuole raggiungere la FED.
La conseguenza immediata, a caldo, è stata un deciso calo dei futures azionari americani e degli indici azionari europei, oltre che delle quotazioni dei mercati obbligazionari, con simetrico rialzo dei rendimenti, che viaggiano sempre al contrario delle quotazioni.
Il ragionamento, che poteva apparire sensato, era che con un’inflazione core resiliente venivano ridotte al lumicino le speranze di vedere un taglio consistente dei tassi FED la prossima settimana. Powell & c. taglieranno, perché di fatto lo hanno già annunciato, ma l’entità del taglio non supererà il minimo sindacale di -0,25%. Ottenere da qui a dicembre un taglio cumulato da -1%, come scontavano ieri i futures sui FED Funds, diventa ora abbastanza problematico.
All’apertura di Wall Street il copione drammatico è sembrato confermato. La stizza per l’inflazione che non vuol scendere ha indotto forti vendite e aggravato il segno negativo dei mercati azionari, mentre SP500 nello spazio di poco più di un’ora di seduta ha raggiunto un calo da -1,6% e fatto il solletico ai minimi di venerdì scorso.
Ma, non chiedetemi il perché, il supporto ha tenuto e (ecco la seconda sorpresa) magicamente sono tornati i compratori di debolezza, che hanno prodotto un rimbalzo sull’azionario, mentre l’obbligazionario confermava il rialzo dei rendimenti ed il calo delle quotazioni.
Già questo non ha molto senso, perché obbligazioni ed azioni si sono mosse all’unisono a ridosso del dato sull’inflazione, quando c’era da scendere, per poi perdere ogni legame intorno alle ore 17 europee. L’obbligazionario è rimasto in calo, mentre l’azionario è rimbalzato.
Un rimbalzo che ha permesso agli indici europei di riportarsi in pareggio o solo poco sopra in chiusura di seduta, mentre la cavalcata rialzista di SP500 e Nasdaq100 è proseguita fino alle 22 e si è fatta veemente, con un’impennata che ha fatto chiudere SP500 a +1,07% e Nasdaq100 a +2,17%. Intanto il Russell2000 delle small cap ha chiuso in sostanziale parità, come i mercati azionari europei.
A spiegare questo comportamento sorprendente dobbiamo scomodare le nostre vecchie conoscenze che da un po’ di tempo sembravano aver perso parecchio smalto: le magnifiche 7, trainate da Nvidia. L’indice Mag7 che le rappresenta ieri ha chiuso in rialzo di +2,61%, con Nvidia a fare la parte del leone (+8,15%).
Sembra quasi che il ragionamento degli operatori, dopo la reazione negativa a caldo, sia stato il seguente. Se per tutto il 2023 e fino a luglio di quest’anno il Nasdaq ed in particolare le magnifiche 7 hanno brillato nonostante i tassi al 5,5%, perché preoccuparsi se i tassi scenderanno più lentamente delle pretese covate dai mercati obbligazionari? Vorrà dire che si fermerà la rotazione verso i titoli cosiddetti “value”, che vanno meglio con i tassi bassi e soffrono con quelli alti.
I 7 campioni tecnologici gli utili riescono a farli anche con questi tassi, perché hanno un potere quasi monopolistico nelle loro nicchie operative. E se l’inflazione scende più lentamente sarà segno che l’atterraggio sarà morbido anche per l’economia, che magari potrà persino evitare la recessione, o addolcirla parecchio. Perciò, intanto si torna a ricomprare a saldo i 7 campioni e preparandosi al rally di fine anno ed all’ennesimo miglioramento dei massimi storici verso quota 6.000 punti di SP500.
Oggi avremo la riunione BCE che taglierà di -0,25%. Intanto i mercati azionari europei partiranno all’inseguimento del rialzo di Wall Street. Tutto ciò è arci-scontato. Un po’ meno lo è il proseguimento dell’allegra salita di Wall Street. Se le sorprese sono all’ordine del giorno, la sorpresa di oggi potrebbe essere che Wall Street torni un po’ sui suoi passi per sondare la convinzione degli operatori.
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