L’assenza di Wall Street per la festività del Labour Day ha ridotto ieri i volumi di contrattazione e limitato gli spunti degli altri listini mondiali.
Quelli azionari europei, che nel commento di ieri non ho analizzato per motivi di spazio, hanno mostrato tutti scarse variazioni e, dopo un inizio di seduta negativo, condizionato dall’ennesimo calo dei listini cinesi, hanno trovato, grazie a indici PMI manifatturieri di agosto quasi ovunque migliori delle stime degli analisti, la forza di recuperare e chiudere assai vicino ai valori di venerdì scorso.
Va detto, comunque, che la manifattura di Eurozona presenta un indice PMI al di sotto del livello di neutralità (50 punti) anche in agosto e da ben 24 mesi consecutivi. A livello dei principali paesi europei il PMI manifatturiero segnala contrazione pesante e da 25 mesi per Germania e Francia, mentre l’Italia risale ad un livello contrazione lieve (49,4) e non prolungata, mentre la Spagna rallenta ma rimane in espansione (50,5) dal febbraio scorso.
Le preoccupazioni congiunturali franco-tedesche sono un macigno per l’economia reale, ma non hanno impedito a Eurostoxx50 il recupero di agosto. Lo hanno reso però un po’ meno brillante di quello di SP500. Infatti, l’indice che rappresenta l’Eurozona si trova ancora a una distanza di circa il 3% dal massimo del 2024, realizzato a 5.122 il 2 aprile scorso. L’ostacolo importante e non facile da superare è ora la trendline discendente che praticamente unisce i 4 massimi discendenti di aprile, maggio, giugno e luglio e che oggi transita in area 5.030.
Decisamente più brillante è stato in agosto l’indice tedesco Dax (alla faccia dell’economia zoppicante), che è spesso assai correlato all’andamento dell’indice americano Dow Jones, il miglior rappresentante dell’economia tradizionale USA. Come il Dow Jones la scorsa settimana ha migliorato il suo massimo storico sia giovedì che venerdì, altrettanto ha fatto il Dax tedesco, che ieri si è limitato a consolidare il record.
Oggi arriverà l’indice ISM manifatturiero USA di agosto, l’equivalente dell’europeo PMI, e ci dirà l’umore dei manager americani sulla crescita futura. Le attese sono per un lieve recupero a 47,5 dal 46,8 di luglio. Comunque, anche questo indicatore non brilla, poiché segnala contrazione dal novembre 2022, salvo una sporadica emersione a 50,3 nel marzo scorso, prima di rituffarsi ben al di sotto di quota 50 nei mesi successivi.
Questo tipo di indicatori è comunque assai meno considerato in questa fase di quelli relativi all’inflazione e al mercato del lavoro. Il motivo è che inflazione e mercato del lavoro sono i due fari che guidano la FED nel determinare la politica monetaria.
La scorsa settimana abbiamo avuto l’annuncio da parte di Powell della svolta monetaria e del taglio dei tassi ufficiali nella prossima riunione FED del 18 settembre.
Inoltre, la misura dell’inflazione preferita della FED, il tasso di inflazione PCE, ha mostrato la riduzione del ritmo inflazionistico sotto il 3% annuo e in convergenza (lenta) verso l’obiettivo FED del 2%.
Questa settimana, venerdì, avremo l’annuncio della creazione di posti di lavoro non agricoli in agosto. Questo dato determinerà l’entità del taglio dei tassi FED di settembre ed influirà sui successivi. Il buon senso e lo stile attuato finora dalla FED mi farebbero pensare ad un solo scalino di taglio da -0,25%, seguito da una pausa a novembre e dal secondo taglio a dicembre. Specialmente se la creazione di buste paga di agosto tornasse intorno a 200.000. Ma, siccome lo scorso mese un numero basso di posti di lavoro creati a luglio ha spaventato i mercati e pure Powell, spingendolo a rompere gli indugi e decretare che le preoccupazioni FED si sono spostate dall’inflazione alla disoccupazione, una nuova sorpresa negativa sul mercato del lavoro potrebbe spingere i governatori del FOMC a intensificare la sforbiciata fino al -0,50%. E magari farla seguire da altri due tagli, a novembre e dicembre, accontentando così i mercati obbligazionari, che pretendono più di 3 scalini di ribasso entro fine anno.
Per quelli azionari il discorso è più complesso, perché, come è successo dopo il dato di luglio, il sollievo proveniente dai maggiori tagli dei tassi potrebbe venire controbilanciato dalla paura di una recessione in rapido arrivo, e magari costringere i mercati ad adeguare (al ribasso, ovviamente) le valutazioni azionarie alle mutate condizioni economiche.
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