Provenendo da un periodo di 5 mesi in cui ogni tentativo di correggere il forte rally dei mercati azionari si è concluso prima di produrre un calo dai massimi del 2%, ed è stato immediatamente seguito da nuovi massimi storici o pluriennali, rischiamo di ingigantire forse troppo l’attuale correzione in atto, che è certamente riuscita a fare un lavoro di pulizia più serio delle precedenti, ma non ha certo intaccato in modo drammatico i guadagni che gli indici sono riusciti a mettere in fila da ottobre 2023 alla fine dello scorso mese di marzo.
La distorsione ottica è dovuta alla desuetudine al ribasso, che la nostra memoria soffre per non aver più visto sui principali indici europei ed americani, da fine ottobre 2023 a fine marzo 2024, una serie di almeno due cali consecutivi severi, cioè superiori al punto percentuale.
Nelle ultime sedute si sono invece viste alcune scivolate significative, dovute alla combinazione di un quadro geopolitico mediorientale in preoccupante aggravamento, dopo che la guerra ha coinvolto direttamente anche l’Iran, e di un quadro economico in cui l’inflazione ha rialzato la testa in modo evidente.
Perciò in aprile i mercati non hanno più potuto snobbare quel che i dati economici e le notizie dai vari fronti bellici ci hanno recapitato. Quella correzione, tante volte strozzata nella culla e rinviata ad un futuro indefinito, si è materializzata nella prima parte di aprile, con gli indici SP500 e Nasdaq100 (battistrada sempre, nel bene e nel male) che ieri hanno confermato lo sfondamento della media a 50 sedute, avvenuto lunedì. La seduta di ieri a Wall Street seguiva le due drammatiche scivolate di venerdì e lunedì scorso, che hanno prodotto una doppietta ribassista superiore al punto percentuale. Per rivedere su questi due indici due sedute consecutive peggiori del -1% la memoria deve andare indietro fino alla fine di ottobre dello scorso anno, quando i mercati furono costretti dalla FED ad accettare ed incorporare nelle quotazioni un periodo di tassi alti più lungo di quel che prevedevano.
Le due giornate nere che hanno concluso la scorsa settimana ed aperto quella corrente hanno compiuto la stessa missione di ottobre, cioè quella di incorporare aspettative assai più fosche sul futuro monetario USA. E ieri, guarda caso, Powell, partecipando ad un dibattito televisivo, ha esplicitato brutalmente che l’inflazione non sta più scendendo. Perciò la FED manterrà più a lungo i tassi fermi al livello attuale, rinviando per tutto il tempo che sarà necessario il primo taglio dei tassi.
I mercati se lo sentivano già da qualche giorno. Infatti, la scorsa settimana ogni dato che facesse pensare ad una economia USA ancora robusta è stato accolto da bordate di vendite sui mercati obbligazionari e anche su quelli azionari.
Così ora possiamo misurare che il calo finora accumulato da SP500 rispetto al massimo storico di 5.265 del 28 marzo scorso è arrivato al -4,27%, mentre il calo di Nasdaq100 dal suo massimo del 21 marzo ha raggiunto ieri -4,35%.
Questi due indici, oltre ad essere già ben sotto la media a 50 sedute, si trovano a contatto con il forte gap rialzista lasciato aperto il 22 febbraio scorso dopo la trimestrale record di Nvidia.
SP500 ieri ha fermato il suo calo proprio sul bordo del fossato, mentre Nasdaq100 ha già ricoperto in due tentativi precedenti circa metà del suo ampio gap. E’ ipotizzabile che il prossimo obiettivo di ribasso sia andare a colmare quel che manca.
L’Europa azionaria è sembrata fino a lunedì intenzionata a snobbare le angosce americane, forte del fatto che la BCE pare intenzionata, a differenza della FED, a concedere già nella riunione di giugno il tanto agognato taglio del tasso ufficiale.
Ma ieri ha improvvisamente aperto gli occhi e visto che, se il differenziale dei rendimenti tra USA ed Eurozona si allarga, il dollaro sarà obbligato a rivalutarsi ai danni dell’euro. E questo potrebbe forse creare un po’ di inflazione importata e magari far rimuginare la BCE. E, comunque, non è mai bene allontanarsi troppo dal cammino di Wall Street
Così ieri si è vista in Europa la peggior seduta da ottobre scorso (Eurostoxx50 -1,35%) e gli indici hanno tutti evidenziato un’accelerazione ribassista a scoppio ritardato, andando a raggiungere (ma senza perforare) la loro media mobile a 50 sedute. Perciò alla fine i conti tornano, perché anche Eurostoxx50, rispetto al suo massimo pluriennale del 2 aprile, ieri è arrivato a perdere -4,35%, proprio come il Nasdaq100.
Ora vediamo se la media a 50 sedute attirerà compratori, stimolando il rimbalzo europeo, oppure se anche gli indici continentali vorranno tornare ai valori di febbraio e chiudere anch’essi il loro gap prodotto da Nvidia, che però è ancora abbastanza lontano, oltre due punti percentuali dai valori di ieri.
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