Dopo aver concluso il mese di ottobre che, nonostante il rimbalzo di questa settimana, è stato negativo per tutti i principali indici azionari mondiali (eccetto quello della Russia, guarda caso), i mercati hanno iniziato novembre tornando a porsi la domanda che ciclicamente si pongono da almeno una quindicina di mesi: potranno i nostri eroi banchieri centrali continuare ad alzare i tassi o a mantenerli alti per molto tempo, anche in presenza di inflazione in rapida ritirata?
A ripresentare alla mente degli operatori questa domanda è stata la pubblicazione dei dati preliminari dell’inflazione europea di ottobre. Grazie ad un più o meno pesante effetto base, che ha coinvolto tutti i paesi dell’Eurozona ed ha obbligato a rimuovere dal conteggio dell’incremento annuale dei prezzi al consumo l’ampio balzo in aumento che si verificò nell’ottobre 2022, i mass media hanno potuto pubblicare dati sull’inflazione piuttosto sorprendenti per i non addetti ai lavori statistici. In Eurozona a fine ottobre il rialzo annuale dei prezzi è stato misurato a 2,9%, dal 4,3% di settembre. Incredibile? È che dire allora dell’inflazione annuale italiana, che è passata dal 5,3% di settembre a 1,8% (non è un errore!) di ottobre?
Certo, l’inflazione core, senza i prezzi dell’energia e degli alimentari freschi, ha avuto un calo meno spettacolare (per l’Eurozona dal 4,5% di settembre al 4,2% di ottobre). Il che spiega dove andare a cercare il merito del ribasso. Inoltre, i dati USA non sono ancora disponibili per qualche giorno. Ma l’effetto emotivo di questi numeri è bastato a riproporre la scommessa che i banchieri centrali non li potranno ignorare. Dovranno rimettere mano alle loro ormai anacronistiche dichiarazioni aggressive e finalmente credere che l’inflazione sia in ritirata un po’ in tutto il mondo. Inoltre, dovranno cominciare in fretta a prendere in considerazione la recessione, che in Europa si sta affacciando ormai da due trimestri e preparare velocemente la svolta monetaria, che mandi in soffitta l’era dei rialzi dei tassi contro l’inflazione ed apra quella dei ribassi per combattere la recessione.
I rendimenti, specialmente sulla parte lunga della curva, questa settimana hanno cominciato a flettere in modo significativo, tornando a segnalare una maggiore inversione della curva dei rendimenti. Il che significa che i mercati ricominciano a scommettere sulla svolta monetaria.
Ma ieri questa scommessa doveva fare i conti con la riunione della FED e la conferenza stampa di Powell, alle prese con dati del PIL USA che hanno mostrato nel 3° trimestre una forte accelerazione del ritmo di crescita. Altro che recessione!
Nessuno pensava che la FED avrebbe alzato i tassi. Infatti non è successo. Ma i mercati volevano misurare il grado di ostinazione che la FED avrebbe voluto mostrare. Questa volta nel non credere all’inflazione in calo, mentre due anni fa non credette all’inflazione in rialzo e tardò ad affrontarla.
Ieri dalle parole confuse di Powell hanno potuto toccare con mano che anche stavolta il mantra che regna alla FED è quello che piuttosto di rischiare di sbagliare la mossa per troppa fretta è meglio non fare nulla ed aspettare.
A me pare più o meno lo stesso errore della volta scorsa, ma in direzione opposta.
Perciò i mercati hanno dovuto scegliere al posto della FED ed hanno nuovamente scommesso che prima o poi la FED si accorgerà che il bersaglio da inquadrare non è più l’inflazione ma la recessione.
I rendimenti hanno continuato a scendere anche dopo le parole di Powell e l’azionario ha continuato a recuperare, avvicinandosi decisamente al punto di inversione rialzista di breve, che per SP500 è il superamento di area 4.260.
Anche i listini europei hanno festeggiato il tonfo dell’inflazione, estendendo il loro recupero e portando a 3 le sedute consecutive di rimbalzo per l’indice Eurostoxx50, che ne rappresenta la media. L’indice di Eurozona ha realizzato ieri il completamento di un modello di inversione rialzista di breve (1-2-3 low di Ross), che potrebbe portarlo a contatto con l’area 4.160, dove passa la trendline ribassista che guida l’intera correzione partita a fine luglio, unendone i principali massimi discendenti. Lì la battaglia tra rialzisti e ribassisti europei avrà il suo esito.
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