I mercati azionari occidentali ieri sono stati condizionati più dalle trimestrali che dalla FED, che aveva già urlato da tempo la sua intenzione di alzare ancora i tassi nella riunione di luglio, dopo la pausa di riflessione di giugno.
Una pausa che non ho ben capito quale funzione avrebbe dovuto avere. A mio parere, se a giugno l’azione della FED contro l’inflazione non era ancora conclusa, come affermò il comunicato di allora, e se è vero che l’azione doveva essere massiccia per arrestare e far ripiegare la crescita dei prezzi verso l’obiettivo del 2%, non aveva alcun senso fermarsi un mese sapendo già di dover riprendere.
Non voglio essere malizioso, ma sembra quasi che Powell & c. abbiano voluto dare ai mercati quel contentino utile a favorire il rimbalzo verso i valori del 2021, dopo un 2022 negativo su tutta la linea.
Comunque sia, a luglio è ripreso il rialzo dei tassi FED e ieri è stato annunciato quel che i mercati sanno ed hanno scontato da settimane, cioè lo spostamento in alto di 25 punti base dei tassi ufficiali sui FED Fund, che ora sono arrivati all’intervallo 5,25%-5,5%.
I mercati ieri si sono occupati di trimestrali. Quelli europei hanno preso uno svarione per colpa della deludente trimestrale di LVMH, che ha trascinato al ribasso il settore del lusso e il listino francese (indice CAC a -1,5%), impattando anche abbastanza su Eurostoxx50 (-1,03%, ma arrivato a perdere quasi il 2% prima di recuperare parzialmente). Meno negativo il Dax tedesco (-0,5%), mentre hanno tenuto meglio i due listini più forti del momento, l’italiano Ftsemib (+0,05%) e lo spagnolo Ibex (+0,85%).
Quelli americani hanno scontato una trimestrale non soddisfacente da parte di Microsoft, che ha compensato quella ben accolta di Alphabet. La seduta è così scivolata in leggera negatività fino all’appuntamento con la FED. Dopo l’annuncio del rialzo arci-scontato c’è stata un po’ di volatilità durante la conferenza stampa di Powell, ma meno di altre volte, e la chiusura è stata in pareggio per SP500, in rialzo lieve per il miracolato Dow Jones (il tredicesimo rialzo consecutivo) ed in ribasso lieve per Nasdaq100. Nulla di emozionante, sebbene, a ben guardare, nel comunicato ufficiale e nelle parole di Powell non ci sia nulla che lasci spazio alla scommessa che stanno facendo i mercati, cioè che questo rialzo sia l’ultimo che vedremo. Infatti, il comunicato parla di guardare i dati futuri per determinare non “se”, ma “quanto” si possa ancora estendere questa fase restrittiva della politica monetaria per raggiungere l’obiettivo del 2% di inflazione (non di quella globale, ma di quella PCE core, l’indicatore di inflazione preferito dalla FED). Powell a voce ha confermato che per ora quel che è successo all’inflazione è abbastanza coerente con le aspettative dei membri FED, che prevedono ancora un rialzo dei tassi entro fine anno.
I mercati, secondo logica, non avrebbero dovuto gradire questa impostazione. Però non si sono crucciati, forse perché sono così convinti che la FED fa la voce grossa, ma alla fine getterà la spugna, da non doversi preoccupare del “can che abbaia”. E forse anche perché Powell ha rassicurato che l’Ufficio Studi della FED non prevede più una recessione, ma solo un “notevole rallentamento” della crescita.
Comunque sia, pare che anche questo appuntamento sia stato superato senza particolari affanni sui listini. Se oggi non arriveranno brutte sorprese dalle trimestrali, il tiro alla fune tra mercati USA ottimisti e FED aggressiva potrà ancora continuare.
Per l’Europa è un altro paio di maniche, perché negli ultimi giorni sono arrivati dati macroeconomici che non permettono affatto di escludere la recessione. Anzi, la indicano come assai probabile già quest’anno. Ed oggi avremo la BCE che imiterà la Fed ed alzerà anch’essa di 25 punti base i suoi tassi ufficiali. Una BCE alle prese con l’economia già guasta e l’inflazione core più alta di quella americana. Una situazione decisamente preoccupante, che continuerà a dare fiato ai falchi che vogliono alzare ancora i tassi anche in futuro.
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