Da oltre sei mesi a questa parte non eravamo più abituati a vedere contemporaneamente debolezza europea e forza di Wall Street.
Questo comportamento, tipico delle fasi di recessione, quando gli investitori cercano rifugio dove percepiscono maggior robustezza, ho l’impressione che stia tornando. Il sentore che la locomotiva tedesca stesse perdendo colpi aleggiava da qualche giorno, ma ieri è stato confermato dal dato sul PIL tedesco del primo trimestre 2023, che per il secondo trimestre consecutivo è sceso, certificando quella che gli economisti chiamano recessione tecnica.
Si sa che, se a Berlino piove, nel resto d’Europa e soprattutto nei paesi mediterranei grandina. Così ieri tutti i principali indici azionari europei hanno proseguito al ribasso, incapaci di rimbalzare dopo il forte calo di mercoledì scorso.
Curiosamente ha chiuso in lievissima positività solo l’indice Eurostoxx50 (+0,14%), che dovrebbe rappresentare l’azionario europeo. Mistero dei meccanismi di calcolo degli indici. Comunque, il leggero rimbalzo di Eurostoxx50 non muta affatto la sensazione di debolezza che si respira in Europa.
Una debolezza aggravata dal confronto con quel che invece è successo in USA, dove non sono bastate le parecchie nubi all’orizzonte per impedire a SP500 (+0,88%) e al Nasdaq100 (+2,46%) di archiviare la debolezza delle sedute precedenti e mantenere saldamente la direzionalità rialzista della scorsa settimana.
Le nubi all’orizzonte sono più di una. Le minacce di declassamento da parte delle agenzie di rating, mentre gli incontri tra Biden e McCarthy per ora hanno prodotto solo dichiarazioni fiduciose, ma nessun accordo per alzare il tetto del debito, mentre la clessidra sta esaurendo il tempo e la tesoreria federale i soldi disponibili. Oltretutto pare sempre più evidente che la partita la stanno vincendo i repubblicani, che otterranno consistenti tagli alle spese in cambio del loro voto. Per cui è molto probabile che l’effetto recessivo sull’economia si verifichi anche se il gioco del pollo finirà con l’accordo.
Un’altra nube è rappresentata dalla FED, che ieri ha visto la stima preliminare del PIL USA del primo trimestre migliore delle attese e l’inflazione PCE core ancora al 5% ed in aumento più del previsto. Diventa così sempre più probabile che la pausa negli aumenti dei tassi ufficiali, se sarà attuata a giugno, abbia vita molto breve e sia seguita già a luglio da un nuovo aumento, mentre la possibilità di tagli dei tassi in questo 2023 è ormai scomparsa dai radar dei mercati.
Eppure, nonostante tutti questi bastoni tra le ruote, è bastato che Nvidia stimasse un aumento dei ricavi futuri molto superiore a quello degli analisti, per scatenare gli acquisti e produrre un rialzo di quel titolo di quasi +25% nella seduta di ieri, innescando un volano di positività sia sul Nasdaq100 che su SP500. A chi si stupisce che un singolo titolo possa cambiare le sorti di un intero indice, ricordo che Nvidia occupa la quarta posizione per importanza sia nell’indice Nasdaq100 che in quello più esteso SP500. Inoltre, ricordo che i manager Nvidia hanno motivato le loro previsioni con l’espansione dell’intelligenza artificiale, scatenando così una vera e propria caccia ai produttori dei chip più evoluti per le applicazioni di AI, settore in cui Nvidia è leader, ma in compagnia di altri.
Sta di fatto che ieri la divaricazione di forza tra Wall Street ed Eurostoxx50 ha avuto una clamorosa estensione e pare tutt’altro che destinata a rientrare. Almeno per un po’.
La strada verso i 4.300 punti per SP500 sembra riaprirsi, mentre è già partito il volo del Nasdaq100 verso l’area dei 14.400 punti. Mentre in Eurolandia gli indici lottano per negare un’inversione ribassista di tendenza, che pare già avvenuta. Se proseguisse potrebbe portare Eurostoxx50 a rivisitare i minimi di marzo, in area 4.000 punti.
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