La settimana che porta verso la fine di maggio è iniziata con parecchia cautela da parte dei mercati, che forse hanno realizzato di essersi spinti troppo avanti con l’ottimismo in quella precedente, scontando una rapida soluzione al problema del tetto del debito USA e una FED ormai disponibile a fermare la sua aggressività monetaria.
Ma ieri hanno dovuto prendere atto che la strada da fare per accordarsi su un innalzamento del limite di 31.400 mld$ all’indebitamento complessivo del governo USA è ancora in buona parte da percorrere. Dopo lo stop alle trattative da parte del gruppo ristretto di tecnici, arrivato venerdì scorso, ieri Biden, tornato dal G7, ha già incontrato il presidente della Camera, il repubblicano McCarthy, per riprendere il filo della trattativa ai massimi livelli. Non è però bastato per avvicinare abbastanza le due parti, d’accordo per ora solo sul fatto che il fallimento americano non è un’opzione. Un po’ poco. Sembra la stessa manfrina a cui assistiamo durante le Conferenze Onu sul clima. Tutti d’accordo che il tempo stringe e bisogna fare qualcosa per impedire l’aumento della temperatura del pianeta. Ma nessuno è disposto a fare il primo passo e ad assumersi responsabilità. Così intere regioni del mondo passano dalla siccità all’alluvione in poche ore, come abbiamo visto in Emilia-Romagna.
Tornando alla questione Debt Ceiling, aggiungo che ieri Yellen ha confermato che tra meno di 10 giorni i soldi disponibili per i pagamenti federali dovrebbero finire, per cui il tempo stringe.
L’altra questione su cui forse i mercati debbono fare un ripensamento è la certezza che la FED voglia arrestare il rialzo dei tassi già alla prossima riunione FOMC di giugno.
Se già Powell venerdì era stato evasivo e non aveva promesso nulla, ieri ben due membri del FOMC sono intervenuti pubblicamente. Uno, Bullard, ha previsto altri due rialzi nel 2023. L’altro, Kashkari, ha richiesto che, se la FED prenderà una pausa a giugno, segnali molto chiaramente ai mercati che l’inasprimento monetario non è finito. Se non bastasse ancora, all’Investor Day del colosso bancario JP Morgan Chase, la più grande banca del mondo, quella che si è mangiata First Republic Bank come se niente fosse, il suo CEO James Dimon ha affermato candidamente che occorre prepararsi a tassi ufficiali del 6-7% se il 5,25% non riuscisse ad abbassare l’inflazione.
Con tutta questa serie di warning, non è stato tanto semplice per i mercati far finta di niente.
Ci è riuscito solo l’indice tecnologico Nasdaq100 (-0,34%), trascinato nuovamente da Tesla (+4,8%), rediviva dopo un periodo di appannamento. SP500 ha invece oscillato per tutta la seduta senza direzione ed il pendolo si è fermato in parità.
È invece arrivata qualche presa di beneficio in Europa, che ha fatto scendere di qualche decimale gli indici azionari, pur senza segnalare drammi.
Intanto in USA i rendimenti sulla parte breve della curva si sono nuovamente alzati, con la scadenza dei Treasury a 3 mesi che converge verso quota 5,5%, mentre la scadenza annuale ha rendimenti ben al di sopra del 5% ed ha recuperato un punto dai minimi del 4,10% visti il 15 marzo scorso.
Non sorprende perciò la difficoltà dei metalli preziosi, che non riescono a riportarsi verso i massimi di poche settimane fa. L’oro si è indebolito parecchio e viaggia ora ben sotto quota 2.000 $ l’oncia.
Tutto sommato nelle ultime due sedute i mercati più solidi continuano ad essere quelli azionari. Non perché salgano, ma perché scendono di meno di obbligazionario e materie prime.
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