La settimana appena conclusa ha invece riportato il sereno, forse prematuramente, sui mercati azionari, mostrando saldi settimanali abbastanza consistenti per parecchi dei principali indici.
Tra questi spiccano per entità del rialzo settimanale due indici asiatici, il Nikkei giapponese (+4,8%) e quello di Taiwan (+4,3%). Lo zampino in questi rally deve averlo messo anche il Vertice G7, organizzato e presieduto dal Giappone, che ha mostrato un grande attivismo diplomatico del nuovo premier Kishida. A Taiwan deve aver giovato la riaffermazione unanime dei grandi dell’Occidente del sostegno alla lotta per l’autonomia di Taiwan dalla Cina, in linea con i principi della democrazia occidentale, ma in aperto contrasto con la volontà cinese di riannetterla pienamente, anche con la forza. Diciamo che il G7 ha anticipato abbastanza chiaramente dove sarà la guerra che seguirà quella tra Russia ed Ucraina.
La baldanza delle borse europee e americane è stata minore, ma comunque in decisa ripresa rispetto all’immobilismo della settimana precedente. Eurostoxx50 l’ha sintetizzata con un saldo settimanale da +1,8%, che sta in mezzo tra il più corposo +2,3% del Dax tedesco, che venerdì ha toccato un nuovo massimo storico, e i meno eclatanti +1% francese, +0,6% italiano e +0,2% spagnolo.
Positiva anche la settimana americana (+1,7% per SP500 ed un sontuoso +3,5% del tecnologico Nasdaq100, che ha già superato il massimo dello scorso 16 agosto, spinto dall’euforia sull’intelligenza artificiale, che sta facendo volare i titoli coinvolti nel nuovo Eldorado.
Va detto però che gran parte dell’entusiasmo americano è arrivato per merito dell’apparente buona volontà di raggiungere un accordo rapido sull’innalzamento del tetto del debito USA, che nei primi giorni di giugno, se non verrà alzato, raggiungerà il limite ora vigente di 31.400 mld$ e causerà la chiusura di molti uffici pubblici e il blocco di molti pagamenti, tra cui potrebbero anche ricadere quelli delle cedole dei Treasury Bond ed i rimborsi dei titoli di stato in scadenza. Si tratterebbe di un default tecnico che le agenzie di rating si preparano a punire con un declassamento del merito di credito per il governo USA.
La buona volontà si è manifestata con l’intensificazione delle trattative a ranghi ristretti tra democratici e repubblicani, per raggiungere passi avanti decisivi mentre Biden era al G7, ed ha influenzato assai positivamente le sedute centrali della settimana. Ma si è spenta proprio venerdì, fermandosi ad un punto morto, che solo il ritorno di Biden dal G7 potrà eventualmente rianimare. Perciò anche l’euforia dei mercati si è fermata e la seduta di venerdì ha visto lievi arretramenti degli indici USA, che non hanno rovinato la performance settimanale, ma invitato a non dare ancora per scontato il lieto fine.
Resta comunque l’impressione di una ritrovata voglia di salire, che potrebbe essere fermata solo da una demenziale auto-flagellazione del Congresso, che dimostri l’incapacità di trovare un accordo all’ultimo secondo, come è sempre avvenuto nelle precedenti occasioni, e faccia precipitare questa volta in default la più grande potenza economica e finanziaria del mondo.
Se avvenisse il web si riempirebbe di sarcastiche battute, del tipo: “Non era la Russia che doveva fallire in breve tempo?”
I mercati al momento non prendono in considerazione un esito negativo della trattativa, ma, siccome l’imbecillità dei politici, anche in USA, riesce a fare massimi storici più frequentemente dei mercati, una certa dove di prudenza questa settimana potrebbe essere opportuna.
Anche perché Powell ha mischiato nuovamente un po’ le carte delle convinzioni dei mercati in un intervento pubblico venerdì scorso, lanciando una serie di messaggi ambigui ed incerti sull’orientamento della FED nella lotta all’inflazione. Così i future sui tassi ufficiali hanno alzato di nuovo un po’ le probabilità di un ennesimo rialzo dei rendimenti nella riunione di giugno. Ora sono al 35%, cioè non ancora maggioritarie, ma crescenti.
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