Sui mercati finanziari stiamo assistendo ad un periodo di attesa, che si sta prolungando oltre i limiti fisiologici. Una paludosa immobilità dei mercati azionari, sostenuti dalle trimestrali USA piuttosto buone, che certificano una resilienza contabile delle società quotate, e dalla speranza che la FED abbia effettuato a maggio l’ultimo rialzo dei tassi, e possa passare ora anch’essa ad una fase d’attesa, per misurare quanto l’inflazione stia tornando sotto controllo, in modo da poter tornare nuovamente ad una politica monetaria più accomodante. Ma anche frenati dal susseguirsi di indicatori economici che segnalano l’approssimarsi della recessione e dallo scorrere inesorabile del tempo, mentre democratici e repubblicani USA sono ancora lontani da un accordo che alzi l’asticella del tetto del debito prima che arrivi il primo giorno di giugno, quando il governo USA finirà i soldi e, raggiunto il tetto dell’indebitamento, non potrà più spendere oltre lo stretto indispensabile, precipitando in una sorta di default tecnico.
Perciò i mercati aspettano la FED ed i politici USA. La FED, da parte sua aspetta di avere le idee più chiare prima di strombazzare la pausa sui tassi, mentre i politici USA aspettato di arrivare all’ultimo secondo di questa sorta di “gioco del pollo” per vedere chi cederà per primo nelle pretese per raggiungere il necessario accordo sulla legge che innalzi il tetto del debito. Ben sapendo che non può essere evitato, perché causerebbe devastanti effetti sull’economia USA (e non solo), ma anche sulla loro credibilità agli occhi dell’elettorato americano.
Insomma: aspettano tutti, così i mercati scivolano lentamente nella noia, salvo poche eccezioni.
L’unica, in occidente, è l’indice Nasdaq100, che riesce a mantenersi abbastanza tonico, grazie ai big della tecnologia, tornati un porto abbastanza sicuro grazie alla dimostrata capacità di spremere utili anche nelle fasi di incertezza. Ieri, nello squallore delle lievi ma diffuse perdite di tutti i principali indici azionari, spiccava con il segno positivo. Niente di eclatante (+0,09%), ma salire di poco mentre gli altri scendono è certo sintomo di maggior salute.
Gli altri indici occidentali hanno mostrato tutti lievi perdite, che in Europa sono sintetizzate dal microscopico -0,02% di Eurostoxx50. Un po’ più significative in USA, dove SP500 ha perso -0,64% e gli indici minori Dow Jones e Russell2000 delle small cap hanno perso oltre un punto percentuale. Quest’ultimo indice sembra essere quello su cui si abbattono maggiormente i timori di recessione. Dopo il forte calo subito nel mese di marzo, sul quale ha pesato la crisi bancaria americana, il rimbalzo di aprile non è andato oltre il recupero del 38% del calo avvenuto dal 2 febbraio al 24 marzo scorsi e in maggio sembra nuovamente dirigersi verso i minimi di marzo, poco sotto quota 1.700, e a non molta distanza dai minimi del 2022, che sono a 1.640.
C’è un senso nella debolezza delle small cap. E’ quello che ha visto crollare le banche regionali, mentre le grandi banche, troppo grandi per fallire, continuavano a gonfiarsi di profitti.
E’ il timore che in recessione siano sempre i piccoli a rimetterci, mentre i grandi protagonisti dell’economia, oltre ad avere le spalle più larghe, possano godere anche di aiuti di stato che li sostengano.
Comunque, non si vede ancora nessun segno di panico, ma solo prese di beneficio prudenziali, in attesa che chi può farlo muova un dito per toglierci dall’incertezza.
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