Così il segno meno ha campeggiato largamente sui tabelloni che riportano i risultati della seduta di ieri. Nessuna perdita superiore al punto percentuale in occidente, ma cali da -0,59% per Eurostoxx50, che rappresenta l’azionario europeo, -0,46% per il SP500 USA e -0,68% per il Nasdaq100.
La colpa di questo ritorno di incertezza ha qualche motivazione, sia reale che psicologica.
I dati sull’interscambio cinese di aprile hanno mostrato una caduta delle importazioni, che pone seri dubbi sulla reale ripresa dei consumi interni in Cina dopo la fuoriuscita dalla pandemia Covid e la completa liberalizzazione dei movimenti. Chi puntava sul ritorno della Cina come motore di traino dell’economia globale deve aver masticato amaro nel vedere dati che non presentano segni di accelerazione della domanda interna, senza la quale sarà difficile riavvicinare i ritmi di crescita a cui la Cina ci aveva abituato prima del Covid. Non solo. Molti analisti confidano ancora che proprio la ripresa cinese possa aiutare l’Occidente a mantenere un ritmo di crescita magari più lento, ma comunque positivo, che permetta di evitare la recessione ed attuare quell’atterraggio morbido che è nelle intenzioni delle banche centrali occidentali. Con queste aspettative è inevitabile che le battute d’arresto cinesi incupiscano anche l’occidente.
Psicologicamente ieri non è stato affatto gradito il ritorno di dubbi ed incertezze sulla crisi bancaria americana. Da un lato il promesso aumento di tutele per i depositanti sembra avere subito qualche battuta d’arresto e ciò potrebbe far riprendere l’esodo dei clienti dalle banche minori verso i colossi che non possono fallire. Se l’ETF sul settore delle banche regionali USA (sigla KRE, quotato a Wall Street) è un buon indicatore dell’umore degli investitori sulla crisi bancaria, constatiamo che il crollo della scorsa settimana è stato seguito da un rimbalzo significativo nella seduta di venerdì, seguito da un ampio gap rialzista all’inizio della seduta di lunedì scorso, che però si è chiusa in lieve ribasso. Ieri la discesa è proseguita per gran parte della seduta e solo sul finire si è visto un po’ di rimbalzo, che però non è riuscito ad eliminare il segno negativo dalla performance quotidiana. Non possiamo dire che siano tornate le forti ansie della scorsa settimana, in seguito al fallimento di First Republic Bank, ma nemmeno che le nubi sul futuro del sistema bancario USA siano scomparse.
Aggiungerei anche qualche perplessità sul primo incontro tra Biden ed i rappresentanti dei due schieramenti, democratico e repubblicano, per cercare una mediazione che consenta l’innalzamento del tetto del debito ed eviti il fallimento tecnico degli USA. Non è stata trovata un’intesa, ma solo l’impegno ad incontrarsi di nuovo. Nessuno sperava in una rapida soluzione. Però il tempo stringe, dato che il ministro Yellen ha ribadito che i fondi disponibili fino al tetto del debito si esauriranno nei primi giorni di giugno.
Ma quel che ha paralizzato più di ogni altra cosa i mercati è l’attesa per l’inflazione di aprile negli USA, che verrà resa nota oggi alle 14,30.
Gli analisti si aspettano un pochino di rialzo dei prezzi. Sia il dato globale che quello “core”, cioè senza prezzi energetici ed alimentari freschi, sono visti in crescita ad aprile del +0,4% mensile, che è un ritmo non troppo compatibile con un abbassamento rapido dell’inflazione. Su base annua questa dovrebbe rimanere invariata al 5% per quella globale e in lieve calo dal 5,6% al 5,5% per quella core. Se le previsioni verranno confermate continuerà ancora l’incertezza sulle future mosse della FED, che potrebbe anche decidere di proseguire i rialzi dei tassi, soprattutto se il mercato del lavoro rimarrà robusto come si è visto in aprile.
Un valore inferiore alle attese sarebbe in grado di rianimare le scommesse sulla tanto attesa e mai ancora annunciata pausa dei rialzi e dare fiato ai rialzisti. La delusione sarebbe invece in grado di riportare il sangue sui listini se arrivassero dati più alti delle attese.
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