Sull’Europa ha pesato, paradossalmente, la “buona notizia-cattiva notizia” del miglioramento degli indici PMI servizi, tornati nella rilevazione preliminare di febbraio al sopra del livello di neutralità dei 50 punti. Cosa che, se da un lato allontana il rischio di recessione per il primo trimestre, dall’altro alimenta la narrazione dei falchi, che premeranno per continuare il rialzo dei tassi ufficiali BCE anche oltre il rialzo già annunciato per marzo.
Ma ha pesato anche il duello verbale a distanza tra Putin e Biden. Il primo ha parlato alla nazione comunicando la sospensione del trattato USA-Russia di non proliferazione nucleare, ripresentato la solita narrazione sul conflitto in corso e dichiarato per l’ennesima volta che la Russia è determinata a vincere la guerra. Biden, pur ripetendo che la Nato non combatte contro la Russia, ha promesso all’alleato Zelensky il sostegno militare incondizionato fino alla vittoria finale.
Affermazioni che lasciano supporre che la guerra durerà ancora parecchio e dovrà portare nei prossimi giorni, in coincidenza con l’anniversario dell’invasione russa, una rilevante escalation, nonostante il velleitario tentativo della Cina di fare da paciere tra chi vede la pace solo come conseguenza della propria vittoria militare.
Le borse USA hanno riaperto i battenti dopo il ponte del President’s Day, ma con umore nero. Laggiù ben più che alla guerra in Ucraina si guarda alla guerra della FED contro l’inflazione, che sembra avviarsi anch’essa verso l’escalation. Anche l’azionario ha preso atto che la FED continuerà l’escalation dei tassi di interesse ben oltre quanto i mercati prevedevano all’inizio di febbraio, in attesa che flettano significativamente l’inflazione core e gli indicatori sul mercato del lavoro. I mercati obbligazionari lo hanno capito già la scorsa settimana, tornando ai massimi di rendimento visti a dicembre. Ieri è arrivata la rassegnazione anche i mercati azionari, che hanno visto grandinare pesanti prese di beneficio per tutta la seduta e senza soluzione di continuità. Il principale indice SP500 ha aperto in forte gap ribassista ed è sceso di quasi 100 punti dai livelli di venerdì scorso, chiudendo sotto la soglia psicologica dei 4.000 punti e con un pesante e rotondo -2%. Il tecnologico Nasdaq100 lo ha imitato con -2,02% e può limitare la sua soddisfazione alla sola constatazione che da qualche seduta ha smesso di sottoperformare il suo fratello maggiore, come invece ha fatto per tutto il 2022.
Il calo di ieri non ha ancora modificato l’impostazione rialzista dei mercati europei, anche se un ulteriore calo odierno, che facesse scendere Eurostoxx50 sotto il forte supporto di 4.170, decreterebbe anche in Europa l’avvio della correzione.
Correzione che in USA è già stata decretata dalla scivolata di ieri, che ha rotto ben due supporti (4.060 e 4.020) sull’indice SP500 e lo sta dirigendo verso il livello chiave di 3.980, dove oggi passano la media a 50 sedute e la trendline ribassista che unisce i massimi di agosto e dicembre 2022 e che venne superata il 26 gennaio scorso.
Tornare sotto questi due indicatori sarebbe una manifestazione di debolezza da non sottovalutare, che imporrebbe un ripensamento ai tanti che sono sovraesposti sull’azionario, ansiosi di cavalcare una inversione di tendenza rialzista che verrebbe negata.
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