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LA RECESSIONE IN ARRIVO FERMERA' LA FED?
24/11/2022 09:00

Ieri i mercati dovevano scandagliare i Verbali del FOMC della riunione di inizio novembre per trarre lumi sul futuro della politica monetaria. Ma, prima dei verbali, sono arrivati parecchi dati macroeconomici che hanno irrobustito la sensazione, che si percepisce già da settimane, che la recessione stia ormai bussando forte alle porte del mondo occidentale, per entrare nella stanza il prossimo trimestre.

Ieri era il giorno degli indici PMI di novembre, nella misurazione flash fatta da S&P Global. Questi indici anticipatori misurano il sentiment di un campione di manager di grandi imprese che si occupano degli acquisti per la propria azienda. In Europa sono usciti leggermente meglio delle attese, ma pur sempre tutti quelli principali in territorio inferiore a quota 50, livello che divide prospettive di espansione (sopra 50) da quelle di contrazione economica (sotto). Viene così prevista una generalizzata contrazione sia del manifatturiero che dei servizi nel prossimo futuro di Germania, Francia e intera Eurozona.

Nel pomeriggio anche quelli relativi agli USA hanno mostrato pesanti cali, assai peggiori delle stime degli analisti che li attendevano in sostanziale stabilità. A novembre sono invece scesi in modo marcato ed anche quello manifatturiero è entrato pesantemente in territorio di contrazione a far compagnia a quello dei servizi (PMI Manifatturiero a 47,6 dal 50,4 di ottobre; PMI servizi a 46,1 dal 47,8 di ottobre). In USA però si guarda maggiormente agli indici calcolati dall’istituto ISM, che usciranno ad inizio dicembre. Ma, se S&P Global non ha preso cantonate, pare difficile che possano recitare una cantilena diversa.

Alla stessa ora, tanto per dare la sensazione del grigiore che sta pervadendo l’economia USA, anche i sussidi di disoccupazione settimanali hanno mostrato una crescita evidente, facendo trapelare che la domanda di lavoro da parte delle imprese comincia a perdere parecchi colpi. Fuori dal lugubre coro invece è parso il dato sui beni durevoli di ottobre, ancora in crescita, a testimonianza che gli investimenti ad ottobre tenevano ancora.

L’impressione complessiva è comunque stata di recessione in rapido arrivo. In un mondo normale i mercati azionari avrebbero dovuto scendere e quelli obbligazionari salire. Così è stato per quelli obbligazionari, sia in Europa che in USA, saliti in modo da evidenziare un ampio calo dei rendimenti soprattutto sulla parte lunga della curva. Risulta così ulteriormente appesantita l’inversione sulle durate da un anno in su.

L’azionario invece ha avuto un sussulto rialzista, dovuto alla speranza che anche la FED veda la recessione e decida, in un futuro abbastanza prossimo, di cambiare bersaglio, passando dalla lotta all’inflazione, a colpi di rialzo dei tassi, alla battaglia contro la recessione, da attuare con elargizioni monetarie a tassi contenuti. Gli indici si sono trattenuti dall’esultare solo per prudenza, dato che fino alle ore 20 europee non sarebbero arrivati i verbali della FED.

Così l’Europa ha attuato nel pomeriggio un guizzo che ha consentito a Eurostoxx50 (+0,42%) di chiudere la seduta a quota 3.946, cioè una manciata di punti sopra il massimo della scorsa settimana e di portare a 12 il numero delle sedute in ipercomprato.

Però… attenzione! Eurostoxx50 sta disegnando un cuneo ascendente, che è una figura di inversione ribassista, confermato dalla continuazione delle divergenze ribassiste che si vedono sull’indicatore RSI(14) disegnato sul grafico a cadenza giornaliera. Sono solo campanelli d’allarme, ma non vanno ignorati, anche perché, come è normale che avvenga, dopo la lunga dimostrazione di forza, l’indice di forza relativa di Eurostoxx50 rispetto a SP500 ha cominciato a ripiegare verso il basso e segnare anch’esso una divergenza ribassista dopo il picco di forza raggiunto il 9 novembre.

Wall Street dopo la chiusura europea, con l’avvicinarsi dei verbali, si è fatta cogliere dalla prudenza ed è tornata al punto di partenza, dalle parti di quota 4.000, rimangiandosi la positività mostrata nella prima parte di seduta.

Ma alle ore 20 i verbali FOMC si sono mostrati come una tigre di carta, dato che hanno confermato senza alcuna novità il messaggio già consegnato il 2 novembre codal più sintetico comunicato ufficiale e dalle parole uscite dalla bocca di Powell nella conferenza stampa successiva.

In sintesi: molti membri ritengono che si possa “presto” rallentare il ritmo di rialzo dei tassi, ma molti membri pensano che il punto di arrivo sarà più alto di quanto previsto in precedenza. Rialzi minori, ma più a lungo.

Perciò la prospettiva, a mio parere, sembra quella di un rialzo da mezzo punto a dicembre e di altri due o tre rialzi successivi da un quarto di punto nelle prime riunioni del 2023, per arrivare a conclusione della manovra antinflazione al 5% o al massimo al 5,25%. È esattamente quello che prevedono ora i futures sui tassi ufficiali. Per cui la FED non ha calcato la mano e consente ai mercati di sognare la pausa.

Il sospiro di sollievo ha riportato rapidamente l’indice SP500 dove era arrivato ad inizio seduta ed a chiudere a 4.027 (+0,59%). Rinfrancato anche il Nasdaq100 (+0,97%).

Il Vix, l’indice della paura, ha continuato a scendere ed è arrivato a 20,35, cioè assai vicino al livello 19, che ad inizio aprile e a metà agosto ha visitato prima di ripartire al rialzo ed accompagnare una forte discesa dell’indice SP500, respinto dalla media mobile a 200 sedute.

Ora l’indice è arrivato a circa 30 punti (neanche l’1%) dalla media a 200 sedute ed il Vix è a poco più di un punto da 19.

Dopo la pausa odierna per la Festa nazionale del Ringraziamento, dove gli unici americani a non festeggiare saranno i tacchini spennati e cotti al forno, si ripresenterà nuovamente il medesimo bivio e la necessità di scegliere se tornare indietro per la terza volta, oppure gettare il cuore oltre l’ostacolo ed estendere il recupero.

Questa volta sarà diverso?

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