Però la FED, in questo momento, vede come il fumo negli occhi la salita delle borse, perché rema contro il restringimento rapido e profondo delle condizioni finanziarie che essa desidera, e perché, oserei dire, rappresenta un voto di sfiducia contro la stessa FED ed un messaggio che sta sbagliando.
Perciò Powell è stato molto brusco nel correggere la prima impressione che i mercati hanno avuto alla lettura del comunicato finale del FOMC ed ha ribadito quasi con stizza che la politica della FED non cambierà tanto in fretta. Per Powell pensare ad una pausa negli aumenti dei tassi è ancora assai prematuro. I tassi verranno alzati più di quanto ci si attendeva in precedenza e per un tempo maggiore. Se i mercati hanno sfidato la FED a cambiare strada, Powell ha risposto che la FED resta ancorata alla sua missione, ed ha ancora molto lavoro da fare per compierla. Quel lavoro che non piace alle borse, né a quelle azionarie, né a quelle obbligazionarie.
Perciò è tornata l’incertezza di inizio ottobre che ha provocato il riallineamento dei mercati alla posizione della FED. Ma questo riallineamento non è stato affatto uniforme.
Infatti, i mercati hanno deciso di prendere in considerazione la possibile frammentazione del fronte comune delle banche centrali occidentali contro il nemico contro cui stanno lottando.
In particolare, stanno ipotizzando che, se la FED non vuol mollare la sua politica aggressiva, provocando la recessione in USA, non è affatto detto che le altre banche centrali, in particolare la BCE, siano disposte a seguire la FED fino in fondo nell’alzare i tassi contro l’inflazione, giocando una sorta di “chicken game” (quello del film “Gioventù bruciata”, in cui si vede la sfida di coraggio tra due auto lanciate insieme verso un burrone. Vince chi sterza per ultimo).
Perciò la scorsa settimana si sono viste parecchie “stranezze”, che di solito non si vedono quando i mercati, nella stragrande maggioranza delle sedute, tendono a muoversi in modo abbastanza sincronizzato e guidato da Wall Street.
I mercati obbligazionari hanno tutti visto salire i loro rendimenti, ma non nella stessa misura. Ad esempio, il Bund tedesco biennale ha segnato il massimo rendimento settimanale al di sotto (5 punti base) del massimo dell’anno di 2,22% del 21 ottobre, mentre il biennale USA è salito fino ad un massimo settimanale del 4,88%, superando di ben 24 punti base i suoi massimi precedenti del 21.10. Tutto ciò sebbene l’inflazione europea sia decollata ad ottobre su valori annuali a doppia cifra e superiori di circa 3 punti percentuali rispetto a quella USA e che il tasso ufficiale BCE sia ancora ad un livello inferiore a quello considerato neutrale (2,5%), mentre quello USA sia già arrivato al 4%.
Ma le stranezze più grandi si sono viste sui mercati azionari. Fa abbastanza effetto scorrere la lista delle performance settimanali dei principali indici azionari mondiali ed osservare che la scorsa settimana ha regalato il dolcetto di una salita di oltre il +2% ai principali indici europei e lo scherzetto di oltre -3% per l’indice USA SP500 e di quasi -5% per il Nasdaq100.
Una settimana che ha mostrato anche il risveglio della Cina (+6,4% settimanale per Shanghai e addirittura quasi +13% per Hong Kong) anche grazie a rumors di probabili futuri allentamenti delle politiche anti-covid in Cina. Rumors che sono poi stati smentiti nel week-end da dichiarazioni di fonte ufficiale, che però non hanno turbato oggi gli indici asiatici, rimasti stabili a consolidare i guadagni della scorsa settimana.
Non è un caso che la banca centrale cinese sia tra le poche, insieme a quella giapponese, che, in assoluta controtendenza, sta attuando una politica monetaria accomodante per stimolare la crescita dell’economia, che sta segnando il passo anche per colpa dei ripetuti lockdown anti-covid.
L’altra stranezza l’ha mostrata l’indice della paura Vix, che misura la volatilità implicita delle opzioni sull’indice SP500. Ebbene, con un indice SP500 in calo del -3% settimanale, invece di misurare l’aumento della paura da parte degli operatori, ha addirittura accusato un ribasso settimanale di -1,4%. Si tratta di un comportamento assolutamente anomalo.
Non credo che queste stranezze potranno durare molto. In qualche modo i mercati dovranno riallinearsi alle loro correlazioni consuete.
Potrebbero essere i due eventi clou della settimana a favorire una ricomposizione dei mercati.
Il primo è, martedì, l’elezione midterm americana, che rinnova la Camera dei Rappresentanti ed una parte del Senato USA.
I sondaggi mostrano Biden in grande difficoltà ed un probabile ribaltamento della maggioranza, che almeno al Senato dovrebbe tornare in mano ai repubblicani.
Il dopo elezioni è tradizionalmente favorevole ad una salita di Wall Street, a prescindere da chi vinca.
L’altro evento è l’inflazione USA di ottobre, che arriverà giovedì. Gli analisti si aspettano un moderato rallentamento. Se così fosse i mercati potrebbero leccarsi qualche ferita e magari riprendere in considerazione l’idea di tornare a sfidare la FED con il rally di fine anno.
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