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AUMENTA LA CONFUSIONE
11/04/2022 09:15

Il calendario ci conduce oggi ad una settimana dalla Festa di Pasqua. Per la cristianità è la settimana di passione, che conduce al Calvario e mai come quest’anno questa ricorrenza trova nella realtà analogie concrete e a noi vicine, nelle vicende di sofferenza del popolo ucraino.

La guerra nel centro dell’Europa, che ora tutti temono lunga e sanguinosa, rischia di presentarci questa settimana la battaglia campale, mentre si scoprono ogni giorno sempre nuovi crimini perpetrati durante l’occupazione russa del primo mese di guerra.

Ora che il campo di battaglia sembra restringersi alla fascia est dell’Ucraina, cioè il Donbass e la costa che permette l’accesso al Mar d’Azov ed al Mar Nero, sembra che i russi, dopo aver riposato e riorganizzato le truppe, contato le ingenti perdite, portato 60.000 unità di rinforzo e cambiato il generale a capo della “Operazione Militare Speciale”, chiamando quello che guidò le truculente  missioni in Siria e Cecenia, stiano preparando l’offensiva finale, con l’obiettivo di respingere fuori dal Donbass l’esercito ucraino e di conquistare definitivamente quel cumulo di macerie che è diventata la città martire di Mariupol, per poi sedersi al tavolo della trattativa ed ottenere quel minimo che possa essere presentato da Putin come una vittoria.

Se questo è il piano, la settimana ci porterà una nuova e drammatica escalation nella guerra, con nuove atrocità, intensificazioni di bombardamenti e scontri in campo aperto, mentre è possibile che la NATO aumenti ancora la pressione delle sanzioni e la quantità e qualità degli armamenti per l’Ucraina, con conseguente intensificazione del rischio di coinvolgimento diretto nel conflitto.

Zelensky, d’altra parte, ha mostrato un evidente irrigidimento negoziale. Ora non pare più disposto a puntare al cessate il fuoco, ma sembra deciso a tentare la controffensiva per ottenere l’intera posta, convinto di poter ricacciare i russi fuori dall’Ucraina e preservare “l’integrità territoriale”.

Non mi sembra certo uno scenario rilassante.

Come non lo è neppure quello che si è delineato nei giorni scorsi sul fronte della “seconda guerra” in atto, cioè quella che hanno appena cominciato a combattere (in gravissimo ritardo) le Banche Centrali contro l’inflazione, che bombarda il potere d’acquisto in tutto il mondo e che la guerra e le sanzioni non fanno che esacerbare ulteriormente.

La risposta delle banche centrali deve farsi più incisiva e i verbali delle ultime riunioni di FED e BCE ci hanno evidenziato che i falchi hanno preso il comando delle operazioni, al punto che per gli USA si prevedono per fine anno tassi ufficiali oltre il 2% e riduzioni di Bond in bilancio (il Tightening) al ritmo di 95 mld$ al mese a partire da questa estate. La BCE concluderà in fretta il suo QE per poi procedere in autunno ad alzare i suoi tassi ufficiali, per la prima volta dal lontano mese di luglio 2011, quando avvenne l’ultimo rialzo dei tassi nella storia della BCE.

Una corsa alle armi anti-inflazione che colpirà inevitabilmente la crescita economica, che aveva appena recuperato il livello pre-pandemico del PIL negli USA e lo stava recuperando in Europa.

Le strette monetarie creeranno un rallentamento in USA, mentre in Europa cominciano ad affacciarsi addirittura previsioni di ingresso in recessione piuttosto vicino.

E non è che le aree economiche più lontane dalla guerra se la passino molto meglio. La grande Cina, che gli scenari geopolitici di lungo termine disegnano come il probabile vincitore dello scontro tra Occidente e Russia, sta intanto combattendo la sua guerra al Covid a forza di tamponi e lockdown di massa. Nonostante la chiusura totale già da due settimane dell’area di Shanghai, i contagi continuano a salire, e la preoccupazione per gli effetti negativi sulla crescita si fa palpabile, mentre l’inflazione cresce anche lì e limita la possibilità della banca centrale cinese di elargire sempre nuovi stimoli monetari.

Di fronte a questo quadro della situazione reale, non c’è da stupirsi che i mercati la scorsa settimana abbiano continuato il loro pullback correttivo. Reduci dal forte rimbalzo della seconda metà di marzo, stanno ora tornando indietro in modo abbastanza evidente. Quasi tutti i principali indici azionari europei, tutti quelli USA ed anche quelli asiatici di Cina e Giappone hanno avuto un saldo settimanale negativo, abbastanza pesante per la tecnologia e le small cap americane, cioè quei settori che più soffrono la politica monetaria restrittiva e l’inflazione.

Le materie prime continuano a mostrare una tendenza complessiva al rialzo, specialmente per i metalli rari e le derrate agricole, e questo non depone a favore della lotta all’inflazione, anche se cominciano a mostrare un po’ di volatilità, che fa pensare ad una possibile pausa nella folle corsa al rialzo che dura da oltre un anno.

Concentrando l’analisi sull’indice guida SP500, osserviamo che, dopo il raggiungimento del supporto di 4.460 ed il successivo rimbalzo, che sembrava ipotizzare la fine della temporanea correzione, venerdì la situazione si è nuovamente complicata, poiché il rimbalzo non ha avuto il seguito rialzista che mi sarei atteso. Perciò è possibile che il mercato voglia verificare ancora i supporti e magari estendere la correzione fino a quota 4.400.

Al momento non ho elementi per ipotizzare che sia già messo in discussione lo scenario rialzista, creatosi con il forte rimbalzo della seconda metà di marzo, almeno finché l’indice USA rimarrà al di sopra di quota 4.400.

Però non nego che l’incertezza vista nella seconda parte della scorsa settimana obbliga a camminare con i piedi di piombo e pretende qualche verifica aggiuntiva.

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