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IL MENEFREGHISMO RIALZISTA
29/03/2022 09:15

Continua la salita degli indici azionari all’inizio della settimana che ci porterà fuori dal primo trimestre. Ieri l’indice Eurostoxx50 europeo ha frenato nel finale e limitato a +0,50% il saldo che a metà seduta aveva addirittura superato il 2%. La frenata finale è dovuta allo scherzetto degli indici USA, mosci e addirittura calanti nella loro mattinata, ma che poi, appena l’Europa ha chiuso i battenti, hanno svoltato al rialzo fino a segnare a fine giornata +0,71% con SP500 e +1,58% per il tecnologico Nasdaq100.

Il forte recupero attuato dai mercati USA dal giorno in cui è iniziata la guerra d’Ucraina ammonta ormai ad oltre +11% per SP500 e a quasi +15% per il Nasdaq100.

È un impertinente menefreghismo rispetto agli orrori della guerra che i media (non quelli russi, ovviamente) ci descrivono per gran parte dei loro notiziari. I mercati temono le guerre mentre sono ancora ipotesi, per poi rimuoverle non appena diventano realtà.

Ma, a ben vedere, i mercati stanno trascurando del tutto anche gli scenari che gli esperti di geopolitica ci delineano in modo piuttosto concorde per il futuro post-bellico, sempre che si dia per scontato (e per scaramanzia) che la guerra finisca in modo da permettere ancora un futuro sulla terra.

Sono scenari da far tremare i polsi, con la frattura del mondo in due blocchi contrapposti ed ostili. Militarmente, come ai tempi della guerra fredda tra NATO e URSS, ed economicamente, come mai è successo negli ultimi settant’anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, tutti dominati dall’affermazione del capitalismo e poi della globalizzazione, prima finanziaria e poi economica, alla ricerca della massima efficienza produttiva e della massima libertà di scambio, che permettano la crescita economica continua. Il nuovo mondo vedrà gli USA tornare “imperialisti”, dopo la breve parentesi del disimpegno trumpiano, impegnati a “coordinare” un blocco comprendente ad ovest il continente americano (compresa l’America Latina) e l’Europa, fino a confini con la Russia, mentre in estremo oriente il Giappone e qualche democrazia filoccidentale (Corea ed Australia, le principali). L’altro blocco, che definirei “autoritario”, è destinato a comprendere Cina e Russia, che da poco hanno stretto un’alleanza strategica, con la prima dominante e la seconda a fare da vassallo, dissanguato dalla stupida guerra di Putin, ma pur sempre ricco di risorse naturali e portatore di armi nucleari.

Il terreno di scontro sarà l’Africa, fonte di risorse naturali da depredare, su cui il blocco autoritario ha già messo in gran parte le mani, ed il medio-oriente, ancora utile per il petrolio, finché non sarà terminata la transizione ecologica. Qui il blocco occidentale cercherà di consolidare i legami con l’islam sunnita che ruota intorno all’Arabia Saudita, mentre il blocco autoritario corteggerà l’islam sciita che fa capo all’Iran.

La supply chain, cioè la catena di produzione (chi, come e dove produce quel che serve al consumo ed agli investimenti), che la globalizzazione ha unificato e concentrato per ottenere la massima specializzazione ed efficienza possibile, dopo i problemi e le interruzioni che già la pandemia ha evidenziato prima della guerra d’Ucraina, sarà completamente ripensata per necessità geopolitiche. Verrà spezzata e riorganizzata con soluzioni meno efficienti ma che impediranno la dipendenza dal nemico ed ostacoleranno, con dazi e sanzioni, il libero commercio con il blocco ostile.

Tutti concordano che la globalizzazione e la liberalizzazione dei commerci, se hanno provocato problemi come l’aumento della disuguaglianza sociale all’interno dei vari sistemi economici, hanno però contribuito in modo determinante alla diffusione del benessere e della crescita economica in tutto il globo. Tassi di crescita dell’economia globale come quelli che abbiamo visto negli ultimi 30 anni non hanno avuto eguali nel passato. Perciò lo smantellamento della globalizzazione a causa del nuovo disegno geopolitico farà percorrere parecchi passi indietro alla libertà economica ed alla produttività. Ci aspetta un ritmo di crescita globale assai inferiore in futuro, rispetto a quello del passato.

Come è possibile che i mercati azionari ignorino la guerra e le sue conseguenze economiche negative di lungo termine, per salire come se fosse scoppiata la pace universale?

È possibile per due motivi abbastanza semplici, anche se forse discutibili.

Il primo è che i mercati sono abituati a guardare sempre dietro l’angolo. La loro funzione è cercare di mettere il futuro nei prezzi. Quando la guerra non c’era ancora, a partire da gennaio, l’hanno già scontata nei prezzi e sono scivolati nella peggior correzione degli ultimi anni, dopo quella della pandemia. Quando la guerra è scoppiata hanno cominciato, ottimisticamente, a immaginarne la conclusione e, cinicamente, a considerare i guadagni che l’importante settore dell’industria delle armi e tutto il suo indotto lucrerà in seguito alla corsa agli armamenti, che è già partita e che rischia di essere una maratona che durerà per parecchi anni. Questi direi che sono i motivi del rimbalzo.

Per ora i mercati sono convinti che la guerra di Putin durerà ancora poco tempo e già ne festeggiano la fine. Se vedranno la possibilità di imprevisti negativi, allora scenderanno per scontarli. Il grande vantaggio dei mercati è che possono cambiare idea quando vogliono.

Il secondo motivo è che ai mercati interessa il breve termine, perché la maggior parte degli operatori ha orizzonti di breve periodo. Perciò ora festeggiano quel che vedono nel breve periodo, cioè la fine delle ostilità.

Se il lungo termine porterà la recessione o comunque una diminuzione della crescita globale, se ne preoccuperanno quando gli eventi infausti saranno maturi. Sempre in anticipo, ma non troppo.

Ha senso tutto questo? Forse no. Ma i mercati funzionano così.

E chi sono io, per giudicare i mercati, che di me se ne fregano?

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Pierluigi Gerbino - P. Iva 02806030041
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