I mercati azionari, quando sentono la necessità di correggere veramente, lo fanno abbastanza spesso oltrepassando il limite dell’immaginazione, come del resto lo oltrepassano quando estendono la corsa del toro durante gli impulsi principali dei grandi movimenti rialzisti.
Sono le due facce dell’emotività, che prende alla gola gli operatori quando i valori degli indici superano il normale tran-tran delle aspettative razionali, per raggiungere livelli piuttosto lontani da quella zona di normalità che mantiene spenti i segnali di allarme nel cervello umano. Quando si esce dalla “comfort zone” della routine, l’adrenalina annebbia il cervello degli operatori e l’emotività prende il comando, mandando in castigo la razionalità, e spingendo a reazioni compulsive.
È ovvio che per scatenare il panic selling (o il suo opposto, l’euforia irrazionale) ci vuole qualche evento che rappresenti la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Un evento imprevisto o sottovalutato, che si innesti su una situazione che già abbia portato al limite la sopportazione degli operatori e teso i loro nervi.
Quando si raggiunge questo stato, i mercati sono pronti alla “fusione nucleare” dell’emotività, in grado di far saltare i meccanismi di controllo dell’emotività e creare avvitamenti epocali, che producono sui grafici spade impensabili, che resteranno nel tempo a ricordare che cosa può produrre l’emotività al potere.
Ieri abbiamo visto uno di questi esempi.
I mercati azionari da giorni scontavano timori sempre più insistenti di rialzo dei tassi in USA da parte di una FED in visibile imbarazzo e con gran fretta di far dimenticare il flop interpretativo sull’inflazione, rimasta “transitoria” nell’analisi FED fino a quando anche le pietre si erano accorte della sua persistenza.
Ovviamente non tutti i mercati erano impressionati allo stesso modo dai timori monetari americani. Lo erano già parecchio quelli USA, direttamente interessati, che la scorsa settimana avevano presentato un saldo fortemente negativo, ma lo erano assi meno quelli europei, che erano scesi poco, e quelli asiatici, trattenuti da un allentamento monetario attuato in Cina per sostenere l’economia.
Se la scorsa settimana aveva portato a fior di pelle i nervi degli investitori USA, ieri si è abbattuta sulle agenzie di stampa una gragnuola di notizie di rapida escalation del confronto tra NATO e Russia sulla questione Ucraina. Le speranze di dialogo hanno lasciato il posto ad una serie di provocazioni reciproche che spingono la guerra fredda in atto ad aumentare decisamente la sua temperatura. Senza pretendere di essere esauriente su uno scenario che si evolve di ora in ora, ieri si sono succeduti incontri tra i leader Nato, dei veri e propri gabinetti di guerra, minacce reciproche, fino al dispiegamento di truppe ed armi NATO vicine ai confini con la Russia, per difendere l’Ucraina dall’eventuale invasione, definita tecnicamente possibile in qualunque momento Putin voglia premere il grilletto.
Gli indici europei, assai più toccati da una guerra in Europa che da un rialzo dei tassi in USA, hanno preso la via del forte ribasso, accelerando nel pomeriggio al punto da mettere a segno una delle peggiori sedute della sua storia recente. Eurostoxx50, l’indice delle blue chip di Eurolandia, ha registrato un -4,14%, che è il suo terzo peggior calo quotidiano dopo la crisi pandemica del febbraio-marzo 2020. Gli indici locali hanno realizzato analoghe performance.
Questa capitolazione europea è stata favorita da analoga crisi di nervi americana, che nella prima parte della sua seduta ha mostrato perdite da capogiro su tutti i suoi indici, raggiungendo il cosiddetto “climax”, cioè il culmine del movimento di capitolazione, poco prima delle ore 18,30 europee, con una perdita del -4% sull’indice SP500, di -4,9% sul Nasdaq100 e di -3,6% sull’indice delle small cap Russell2000. In quel momento l’indice Vix, che misura la volatilità implicita pagata sul mercato delle opzioni, ed è considerato il termometro della paura del mercato, raggiungeva il suo massimo a quota 38,94, con un rialzo del 30% circa dalla chiusura della seduta precedente
Ma, come spesso succede dopo una capitolazione emotiva degli investitori, quando tutti quelli disposti a vendere lo hanno fatto, ecco che i cacciatori di monnezza si sono fatti vivi. Raggiunto il minimo su SP500 a 4.221, è partito un forte rimbalzo di 220 punti in meno di due ore, esattamente speculare alla scivolata di inizio seduta. Dopo un breve ritracciamento fino alle 20,45, è partita la galoppata rialzista finale, fino ad una chiusura a quota 4.410. Ciò significa che tutta la scivolata della prima parte della seduta è stata recuperata e il saldo di seduta è diventato addirittura positivo (+0,28%).
Ha chiuso in positivo anche Nasdaq100 (+0,49%), mentre il Russell2000 ha realizzato uno spettacolare recupero di quasi 6 punti percentuali, chiudendo con +2,12%.
Roba da matti, certo. Ma tipica dei momenti di esaurimento di una forte negatività.
Questo non significa che tutto sia finito e che la situazione si sia rasserenata di colpo.
Però ci sono buone possibilità che si sia raggiunto il cosiddetto “bottom”, cioè il minimo della correzione. Fino a quando non sarà superato il massimo di ieri non possiamo parlare di inversione, ed un ritorno verso il profondo minimo di ieri è sempre possibile, anzi addirittura probabile.
Ma capitolazioni come quella di ieri, seguite da rimbalzi così impulsivi, che realizzano figure di esaurimento imponenti, come la “spike” di ieri sui grafici USA, solitamente formano un pavimento difficile da sfondare per un po’ di tempo.
È quello che la seduta di oggi ci consentirà di verificare.
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