La maggior parte degli esseri umani, quando si accorge di essere in ritardo ad un appuntamento importante o nel mantenere un impegno, entra in stato di ansia e di agitazione, spesso con la conseguenza di aggravare la situazione.
La maggior parte degli esseri umani, quando si sente tradita da una persona o da una istituzione nella quale rivestiva la massima fiducia, si offende e si allontana.
Questi due atteggiamenti umani sintetizzano quel che sta succedendo in queste settimane iniziali del 2022 nella finanza globale.
Per diversi anni, dalla crisi finanziaria del 2008 fino al dicembre scorso, con una breve interruzione di una quindicina di mesi tra il 2018 e 2019, i mercati obbligazionari ed azionari hanno potuto beneficiare della spinta monetaria da parte della FED, che ha peraltro creato un modello imitato da tutte le altre principali banche centrali. Il tacito accordo, presentato al pubblico come il meccanismo per favorire prima la ripresa dalla recessione del 2008 e poi l’irrobustimento della crescita economica globale, è consistito nel persistente pompaggio monetario attraverso diverse manovre di Quantitative Easing, cioè l’acquisto di titoli obbligazionari sul mercato, pagandoli con denaro fresco di stampa. Manovre che hanno aumentato a dismisura la moneta a disposizione, che è finita in gran parte sui mercati finanziari. Questa alluvione monetaria ha alimentato la salita vertiginosa dei prezzi delle azioni ed anche quella dei Bond, sia quelli sovrani che quelli ad alto rischio. Ha prodotto l’azzeramento o addirittura la caduta in negativo dei rendimenti, la diminuzione degli spread e l’annientamento del ruolo dei mercati obbligazionari, che, attraverso il differenziale di rendimento richiesto ai vari emittenti, svolgono la funzione di premiare i virtuosi e punire gli inaffidabili.
Questa opera si è addirittura intensificata in modo iperbolico durante la pandemia, con la quantità di moneta che è più che raddoppiata in meno di due anni. Il tutto senza curarsi minimamente dei rischi inflazionistici indotti da tale smisurato pompaggio.
Ma nelle ultime settimane dello scorso anno la FED si è scoperta un’inflazione che a dicembre è arrivata al 7% annuo e che continua imperterrita a consolidarsi ed incorporarsi nelle aspettative di lungo termine.
Ora si trova costretta ad inseguire ed ha precipitosamente annunciato che l’inflazione non è più transitoria e che non solo occorre fermare entro marzo il pompaggio monetario, ma occorre addirittura invertirne il flusso, cioè procedere al rialzo dei tassi ed affrettare il Tightening, cioè la riduzione della montagna di titoli obbligazionari presenti nel bilancio FED. Tutto ciò significa drenare moneta.
Nei giorni scorsi si sono succedute dichiarazioni di membri del FOMC che sembrano piuttosto frettolosi, evidentemente in ansia per la salita continua dei prezzi dell’energia, delle altre materie prime, e per la difficoltà delle imprese, costrette ad alzare le retribuzioni per trovare i lavoratori che servono e trattenere i propri.
Questa agitazione FED ha spinto ormai la maggior parte degli analisti ad attendersi quattro rialzi di tassi entro fine anno e addirittura qualcuno ad ipotizzare che il rialzo di marzo sia addirittura di mezzo punto percentuale, una dimensione di rialzo che dal marzo del 2000 non si è più vista.
I compagni di merenda della FED, cioè i mercati azionari ed obbligazionari americani, si sono sentiti abbandonati dalla FED, e come un’amante umiliato ed offeso, stanno correndo ad incorporare rendimenti in rialzo nei prezzi e nelle valutazioni societarie. Tutto ciò comporta una evidente correzione delle quotazioni, non più sostenibili nell’attuale mutato contesto dei tassi di interesse attesi.
Anche ieri, mentre i rendimenti continuavano a salire e quelli del Bund decennale tedesco hanno messo anche il naso in positivo, l’indice SP500 ha rimesso la retromarcia, dopo aver fallito un tentativo iniziale di rimbalzo, e si è appoggiato proprio sul supporto che avevo indicato come obiettivo immediato del movimento ribassista. Con un calo finale di -0,97% l’indice delle 500 blue chips USA ha testato il bordo superiore dell’area compresa tra i due minimi di dicembre di 4.495 e 4.531, ed ha chiuso la seduta a 4.532. Il tecnologico Nasdaq100 ha perso qualcosa di più (-1,07%) ed è ormai vicino all’area di ipervenduto ed alla media a 200 sedute, che dista ormai solo mezzo punto percentuale.
Come ipotizzato ieri, dai livelli raggiunti è assai probabile un nuovo e più fortunato tentativo di rimbalzo, che dovrebbe avvenire oggi o domani. Ma al momento non possiamo affatto confidare che il calo sia finito, perché l’obiettivo dalle parti di 4.400 punti non è stato ancora raggiunto e perché sembra mancare ancora un ultimo movimento ribassista, dopo il rimbalzo, per completare l’onda 4 correttiva.
Mancano 6 giorni alla prossima riunione del FOMC e, in quella sede, la FED potrà mettere qualche punto fermo per confermare o smentire le aspettative grigie dei mercati.
Un tempo che è consigliabile trascorrere con la prudenza, che pare in questi giorni un’ottima compagna di viaggio.
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