Una cavalcata rialzista trionfale di Wall Street, di proporzioni che non si vedevano da inizio aprile, ha accompagnato durante la settimana passata la rimonta elettorale di Biden, che nel week-end è diventato ufficialmente il nuovo Presidente USA, riconosciuto dai leader di tutti gli stati, dai media e dai controllori dell’Osce, organo che solitamente segue con osservatori esterni la regolarità del voto nei regimi dove potrebbero esserci brogli elettorali. Tutti, unanimemente assegnano a Biden la vittoria, ma non il suo avversario Donald Trump, che continua a combattere una guerra persa, come quei soldati giapponesi che, fino a qualche anno fa, a volte si incontravano su qualche sperduta isola del pacifico o nascosti nella giungla e non sapevano che la seconda guerra mondiale era finita da parecchi decenni.
Wall Street aveva scelto Biden da qualche settimana, quando si facevano massicci i numeri di schede arrivate per posta ed in anticipo, numeri che avrebbero dato a Biden la forza per distanziare l’avversario, se non nelle cabine elettorali il 3 novembre, quasi certamente nei giorni successivi.
Così è stato e dal conteggio finale è giunta pure una combinazione che il mercato giudica favorevolmente: Biden ha vinto, ma il partito democratico non ha stravinto.
Ampio è già il margine di vantaggio conquistato dal nuovo Presidente, in un’elezione che ha visto un enorme aumento della partecipazione al voto ed entrambi i candidati prendere più voti di chiunque altro in precedenza. Ma il distacco di Biden crescerà ancora appena diventerà ufficiale il responso di una manciata di stati che deve ancora terminare lo spoglio delle ultime schede.
Però il risultato di Camera e Senato non ha mostrato affatto quell’Onda Blu che alla vigilia lasciavano immaginare i sondaggi. Alla Camera la maggioranza democratica è stata riconquistata, ma con la perdita di qualche seggio rispetto all’elezione di due anni fa. Al Senato invece i repubblicani sono riusciti a mantenere la maggioranza per un voto e se il 5 gennaio, quando in Georgia verranno messi in palio 2 seggi, ne vinceranno almeno 1, azzopperanno Biden, che partirà subito con l’handicap di non avere tutto il Congresso dalla sua parte.
E’ un dettaglio molto importante, che in buona parte giustifica l’entusiasmo rialzista di Wall Street.
Da un lato conferma che queste elezioni sono state un referendum su Trump. La battaglia del mite Biden contro l’arrogante Trump ha attirato sul candidato democratico i voti di quei democratici che 4 anni fa boicottarono la Clinton, sgradita all’ala radicale. Ora la prospettiva di avere Trump per altri 4 anni, li ha convinti a turarsi il naso. Ma può aver attratto, anche qui turandosi il naso, diversi repubblicani moderati che non ne potevano più del comportamento sempre oltre le righe del loro candidato, mentre hanno continuato ad appoggiare il partito repubblicano alle elezioni per il Congresso.
D’altro canto, la vittoria azzoppata renderà ancor più moderato il già accomodante Biden e gli impedirà di far passare, qualora ci provasse, le più qualificanti riforme che aveva promesso in campagna elettorale per attirare i consensi dei radical: l’aumento delle tasse sulle imprese e una legislazione antitrust e fiscale più severa per ostacolare il dominio esentasse delle over the top tecnologiche.
Il mercato ha subito visto in questa situazione la classica botte piena (rientro nella normalità della politica estera e ritorno degli USA ad un comportamento civile nelle organizzazioni sovranazionali e nella NATO), unita alla moglie ubriaca (mantenimento di tasse basse e deregolamentazione trumpiana che tanto piacciono a Wall Street).
Per la verità, la mancanza di maggioranza piena al Congresso non porterà solo gioie alla speculazione, poiché potrebbe slittare e ridimensionarsi anche il maxi-piano da oltre 2.000 miliardi di $ di sussidi alle piccole medie imprese sull’orlo del fallimento e ai milioni di lavoratori senza occupazione. Ma anche qui il mercato ha preferito vedere il bicchiere mezzo pieno.
Infatti, se il piano di aiuto diretto del governo federale sarà ridimensionato, vorrà dire che provvederà la FED ad allargare ancora la dimensione del suo intervento di sostegno monetario. Per i mercati è persino meglio, perché i soldi della FED arrivano più facilmente alla speculazione.
Il risultato è stato perciò una settimana di gloria, che ha ribaltato completamente l’umore di quella precedente. Se l’ultima settimana di ottobre ha segnato la peggior perdita da mesi per i più importanti indici occidentali, la prima di novembre ha segnato il pieno recupero, ed ancor più, delle perdite della settimana precedente. SP500 +7,32%; Nasdaq100 +9,39%; Eurostoxx50 +8,31%; Dax +7,99% e FtseMib +9,69%.
Troppa grazia? Probabilmente sì, poiché l’immediato futuro ha ancora qualche strascico da smaltire. Trump sta rosicando, ma lo stuolo di avvocati guidato da Rudolph Giuliani sta facendo ricorsi a raffica e fino a quando i suoi familiari non riusciranno a convincerlo a fare pacificamente il trasloco dalla Casa Bianca ed il passaggio delle consegne al futuro inquilino, c’è sempre la possibilità che provi ad aizzare il suo popolo di suprematisti armati a difendere la Casa Bianca dai truffatori democratici, con la possibile ripetizione di uno scenario caotico in stile “venezuelano”.
I mercati potrebbero oggi concludere il loro rally sfruttando l’inerzia della scorsa settimana e l’attesa di una soluzione pacifica della successione presidenziale.
Se riusciranno a salire con SP500 oltre il precedente massimo storico di 3.588 punti, la correzione autunnale sarà definitivamente conclusa e ogni futura debolezza si fermerà ben al di sopra del minimo dell’ultima seduta di ottobre (3.234).
Altrimenti rimarrà ancora in piedi l’ipotesi di una ultima gamba ribassista verso la media mobile a 200 sedute (area 3.100-3.130).
E’ evidente, comunque, che l’arrampicata della scorsa settimana ha ridotto considerevolmente le probabilità che quest’ultimo scenario si possa adempiere.
Tutto sembra congiurare per una preparazione abbastanza rapida del rally di fine anno.
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