Dopo averci mostrato due movimenti molto decisi e con pochi dubbi direzionali a partire dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus, il primo fortemente ribassista ed il secondo fortemente rialzista, al punto da ritrovarsi in prossimità delle scadenze tecniche di giugno a breve distanza dai massimi dove cominciò l’agitazione, i mercati sembrano ora assai indecisi su quale scommessa mettere in piedi per il periodo estivo.
Troppe incertezze stanno attanagliando la mente degli operatori e molte delle ipotesi su cui vennero imbastite le scommesse prima per le scadenze di marzo e poi per quelle di giugno ora vacillano.
Cominciamo però dalle certezze che ancora sostengono gli indici di borsa a livelli francamente incompatibili con quanto ci mostra un ‘economia che, sebbene stia cercando di rialzare al testa, dopo la fine quasi generalizzata dei lockdown in occidente, mostra difficoltà ad assorbire la botta recessiva subita dalle esigenze di protezione dalla pandemia.
La prima certezza è il ruolo delle banche centrali e la loro disponibilità a sostenere in modo illimitato ed indiscriminato il sistema capitalistico, che sempre più (ma fino a quando?) si regge sul debito in continua ed esponenziale crescita degli stati e delle imprese, monetizzato dalle banche centrali che se lo comprano. Sono così diventate vere e proprie discariche di un ecosistema finanziario sempre più marcio e maleodorante, ma che non può implodere perché su di esso si basa l’iniqua piramide della distribuzione mondiale della ricchezza, alimentata dall’azzardo morale che porta a privatizzare gli utili delle razzie finanziarie a danno dell’economia reale, ed a socializzare le perdite quando succede qualche imprevisto.
La monetizzazione del debito sempre più spinta porterà nel lungo periodo al crollo sistemico, ma nel breve sembra la panacea di tutti i mali. Se per ogni dollaro di perdita di PIL provocato dalla recessione in corso gli stati ne producono circa 2 di nuovo debito e le banche centrali lo finanziano interamente, si crea un’enorme illusione monetaria, quella che la ricchezza dipende da quanta carta riesce a stampare la zecca e non dai beni e servizi che con questi soldi riesci a comprare.
L’esito naturale, se quei soldi affluissero veramente all’economia reale, sarebbe l’esplosione dell’inflazione. Ma questo non avviene poiché da un lato la parte degli aiuti distribuiti a pioggia viene in grande misura risparmiata nei conti correnti, anche perché molte spese che si facevano prima della pandemia oggi sono impedite dalla paura del virus o dalle misure di prevenzione sanitaria. Dall’altro lato gran parte del debito statale non finisce in investimenti produttivi dell’economia reale, ma viene distrutto nel salvataggio delle imprese meno efficienti e soprattutto resta all’interno del circuito finanziario, alimentando le scorrerie speculative sui mercati e generando così quella che chiamiamo “inflazione finanziaria”. Perciò, prima che il sistema crolli, e questo avverrà nel lungo periodo, c’è spazio ancora per molta inflazione finanziaria nel medio periodo.
Ma nel breve stanno imponendosi alcune incertezze momentanee.
Innanzitutto la tenacia del virus, che non si sta affatto spegnendo con l’arrivo dell’estate, ma è solo emigrato dai paesi che ha visitato per primi verso quelli che sembravano a marzo stranamente beneficiati da una presunta immunità.
In USA si spegne a New York, ma cresce a dismisura in diversi stati del sud e della costa pacifica. In America Latina sta devastando molti paesi e sta crescendo in modo preoccupante anche in India.
Da un mese la mortalità globale sta nuovamente crescendo e questa settimana dovrebbero essere raggiunti nel mondo i 9 milioni di contagi e i 500.000 morti.
Questa permanenza del virus, unita alla previsione che i virologi mantengono di una seconda ondata autunnale nei paesi che hanno già dovuto affrontare quella primaverile, frena gli investimenti e le iniziative, spinge a risparmiare e a non spendere e, in ultima analisi potrebbe rallentare la ripresa economica, trasformando la “V” che gli uffici studi hanno ipotizzato per l’economia e che i mercati hanno già scontato sugli indici, in una possibile “U”. E’ evidente che ciò comporterebbe la necessità di un ridimensionamento per i mercati che più hanno speculato sulla V.
L’altro aspetto problematico di breve periodo che comincia ad emergere è il cosiddetto “ciclo elettorale”. Con l’avvio della campagna elettorale lanciata da Trump con il primo comizio-flop post-Covid in una città (Tusla in Oklahoma) dove invece il virus è tutt’altro che spento, i mercati accendono il faro su Donald Trump e si sono accorti del forte crollo di consensi che i sondaggi stanno mostrando.
Mentre prima dell’esplosione pandemica veleggiava senza problemi verso la probabile riconferma per il secondo mandato e si permetteva di prendere in giro il suo avversario Biden, nominato in piena epidemia dai democratici, ora le probabilità di vittoria sono scese molto al di sotto del 50% e pare che Biden lo sopravanzi di una dozzina di punti nelle probabilità di vittoria finale.
Colpa della gestione approssimativa della pandemia, e di quella autoritaria e divisiva sul caso Floyd, che gli sta facendo perdere molti consensi anche tra i repubblicani più moderati e sta creando una fronda interna nel suo stesso partito. Inoltre fa molta impressione la percentuale degli americani che ritiene che la situazione in USA sia fuori controllo: l’80% (92% tra i democratici e il 66% tra i repubblicani).
Ebbene. E’ risaputo che Wall Street vota Trump, che l’ha spinta ai massimi con regali fiscali e manipolazioni via twitter, e teme i democratici, che accusa di fiscomania. Meno risaputo è che c’è una forte correlazione negli ultimi mesi tra l’andamento degli indici azionari USA e i sondaggi elettorali sulle elezioni presidenziali.
Non è forse un caso se i massimi del recupero di SP500 sono stati raggiunti ad inizio giugno, quando la popolarità di Trump sembrava stabile, mentre da oltre due settimane, dopo l’esplosione delle proteste sulla morte di George Floyd e la clamorosa erosione di consensi, Wall Street sta lateralizzando senza direzione.
Non dimentichiamo che questa settimana verrà pubblicato il libro di memorie di John Bolton. L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale, silurato da Trump, e che ora promette rivelazioni pepate, che Trump ha cercato invano di bloccare, senza riuscire a convincere i giudici.
Forse ne vedremo delle belle.
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