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MERCATI FERMI. SI SCRUTA L'ORIZZONTE
07/05/2020 09:15

Si è ormai esaurito da qualche giorno l’impulso rialzista che ha portato i mercati azionari, che per comodità vediamo rappresentati dal principale indice esistente al mondo, l’americano SP500, a recuperare il 61,8% della sventola ribassista da -35% provocata dall’esplosione della pandemia da coronavirus.

Se guardiamo il grafico di questo indice constatiamo che la pendenza (tecnicamente dovrei scrivere “l’inclinazione della retta di regressione lineare”) del movimento dei prezzi si è appiattita da un paio di settimane e sta lateralizzando. Del resto il valore di chiusura che l’indice USA ha registrato ieri (2.848, -0,70%) equivale a quel che valeva il 14 aprile scorso, ben tre settimane fa. L’aspetto del grafico ha smesso di assomigliare ad una “V” in fase di completamento, per prendere la forma di una radice quadrata.

Il mercato in questa fase non sa che pesci pigliare e barcolla senza direzione, come un ubriaco. Non riesce a scegliere tra l’indicazione di vendita fornita dalla devastazione che continua ad essere fotografata ogni giorno dai dati provenienti dall’economia reale, ed il sogno che tutto sia superato in fretta grazie al pompaggio monetario delle banche centrali, che porterebbe a comprare ancora.

Nel dubbio aspetta ulteriori indicazioni.

I dati brutti relativi al mese di aprile sono ormai scontati. Diciamo che ci stanno già tutti nel grande ribasso di febbraio-marzo. Il movimento di recupero di aprile ha scontato invece la reazione rapida delle banche centrali e, solo un po’ meno, dei governi. Questi hanno messo in campo mastodontiche misure di stimolo fiscale, che faranno esplodere il debito di tutti gli stati, finanziato dalla monetizzazione ad opera dei QE delle rispettive banche centrali. Ora il mercato prende tempo per valutare se quel che è stato attuato basterà a rimettere in piedi il carrozzone dell’economia mondiale.

Troppe sono le incognite. La prima, evidentemente, è l’evoluzione della pandemia. Non sfugge a chi osserva le curve epidemiologiche che, accanto all’appiattimento di quelle dei paesi dell’estremo oriente, di Europa ed USA, in due stati piuttosto importanti (Russia e Brasile) si vede un’accelerazione molto forte dei contagi. Questo significa che fino a quando ci sono nel mondo grossi focolai fuori controllo il pericolo di seconde e terze ondate di ritorno anche nei paesi che ora sono entrati o stanno per entrare in Fase 2 non può essere sottovalutato.

Non mancano, quasi quotidianamente, notizie di vaccini quasi pronti e di farmaci miracolosi. Ma si sa che accelerare e semplificare troppo i test sperimentali, come si sta facendo soprattutto in USA, servirà magari a pompare la speculazione su qualche società farmaceutica, ma difficilmente a dare soluzioni affidabili che non siano peggiori del male che vogliono combattere.

Pertanto bisognerà contrastare il virus, nella migliore delle ipotesi ancora per qualche mese (ma la maggioranza degli scienziati parla di oltre un anno), con le sole armi bianche del distanziamento sociale e della protezione individuale, del tracciamento e dell’isolamento dei contagiosi. Sono purtroppo armi economicamente molto costose, perché i controlli a tappeto ed il potenziamento della vigilanza sanitaria capillare (quella basata sui medici di famiglia e non solo sugli ospedali) richiedono molte risorse. Il distanziamento sociale frena la produttività delle imprese ed aumenta i costi per attuare le modifiche organizzative necessarie a proteggere la salute dei lavoratori. La paura del virus penalizza fortemente e lungamente intere branche di consumi di massa molto importanti (viaggi, ristorazione, divertimento, spettacoli, eventi), che rappresentano una quota rilevante del PIL delle economie sviluppate (stimiamo tra il 20 e il 30%). Ormai è abbastanza chiaro che con la fine del lockdown l’economia è destinata a riprendersi lentamente e solo parzialmente per un rilevante numero di mesi. Lo testimoniano i dati che arrivano dal paese che per primo ha affrontato ed è uscito dall’epidemia, la Cina, dove, dopo un mese dalla fine del lockdown di Wuhan, le vendite al dettaglio sono ancora inferiori a quelle di fine 2019 del 16% e la ristorazione è a -57%.

Un altro capitolo che potrebbe rallentare la ripresa è il comportamento dei politici, che appena vedono i mercati riprendersi un po’ rimettono nell’armadio i vestiti della moderazione e della solidarietà nazionale e ricominciano a litigare. Non solo in Italia, dove, al terzo giorno della Fase due, mentre  non si vede ancora nulla di quel che è stato promesso (mascherine: introvabili; tamponi di massa: inesistenti; app di tracciamento: scomparsa dai radar), Conte passa il tempo a mediare tra i suoi rissosi alleati di un Governo sempre in bilico. Anche in Europa, dove la sentenza della Corte Costituzionale tedesca mette i bastoni fra le ruote all’unica certezza che avevamo, cioè il programma PEPP di Quantitative Easing flessibile da 750 miliardi che avrebbe garantito qualche mese di finanziamento al cospicuo debito emesso dagli stati più in difficoltà (Italia e Spagna).

Per non parlare degli USA, dove Trump pianifica la ripresa della guerra commerciale contro la Cina, col pretesto di fantomatici rapporti di intelligence che dimostrerebbero che il virus è stato prodotto in Cina ed è scappato dai laboratori di Wuhan, mentre il governo cinese nascondeva le tracce al mondo ed accaparrava nel silenzio materiale sanitario. La rivelazione americana è stata smentita da funzionari dei servizi segreti, bollata come irrealistica da tutta la comunità scientifica, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (che per Trump è un covo di cinesi) e dallo stesso Anthony Fauci, l’epidemiologo guru, a capo della task force americana anti-virus.

Poco non importa, bisogna pur trovare un responsabile, che non sia Trump, per il disastro sanitario USA, altrimenti si rischia di perdere le elezioni presidenziali di novembre. E l’istinto animalesco di Trump,  lo porta ad attaccare quando è in difficoltà.

Ma l’eventuale rigetto dell’accordo di tregua di gennaio, per ora solo minacciato, ed il conseguente aumento dei dazi, non sarebbero proprio quel che ci vuole per rianimare l’economia.

Con tutte queste incertezze vedere i mercati fermi è la miglior cosa che si possa pretendere.

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Pierluigi Gerbino - P. Iva 02806030041
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