Sappiamo tutti, ed in passato ne abbiamo avuto più volte la dimostrazione, che la diplomazia europea segue sempre strade misteriose, tortuose, ma soprattutto lunghe, per camminare sulla strada della storia.
Si pensava tuttavia che l’emergenza del corona-virus, che ha cambiato la vita di tutti i cittadini europei, riuscisse a modificare e velocizzare un po’ la burocrazia pletorica di Bruxelles. Ma ieri abbiamo avuto la conferma che i tempi dell’Europa non dipendono dall’urgenza delle circostanze da affrontare, ma dalla necessità di celebrare sempre per intero i riti negoziali.
I disastri già provocati e la minaccia di ulteriori da parte del corona-virus avrebbero richiesto una risposta rapida, per aiutare subito gli Stati impegnati a riorganizzare la vita e la salute dei cittadini, e a sostenere con ingente liquidità le imprese chiuse ed i lavoratori senza reddito per colpa del lockdown.
Ebbene, gli “sherpa” ed i ministri finanziari dei singoli paesi membri (l’Eurogruppo) hanno faticato parecchie settimane per trovare l’intesa e portare davanti ai capi di Stato e di Governo, riuniti ieri in videoconferenza per il Consiglio Europeo, un progetto che non sono riusciti a definire nei dettagli, per la diffidenza reciproca tra le “formiche rigoriste” del Nord e le “cicale spendaccione” dell’area mediterranea. Tutti speravamo che “la politica” avrebbe fatto quello che ai tecnici non era riuscito e che dal vertice uscisse un pacchetto condiviso da tutti, ma soprattutto pronto all’uso.
In realtà tutti sapevamo di illuderci a sperare nel miracolo. Io stesso ieri scrissi che “il parto è molto difficile, tanto che l’esito più probabile è un rinvio ulteriore delle decisioni finali”.
Ed infatti così è stato, nonostante in mattinata siano piovuti sugli osservatori e sui capi di governo i numeri terrificanti della rilevazione flash di Markit degli indici PMI di Aprile per Eurozona, Francia e Germania. Ricordo che gli indici PMI sintetizzano le risposte di un campione di manager delle principali imprese dell’area economica ad un questionario che sonda le loro aspettative per il futuro. Un indice sotto 50 rivela attese di recessione, mentre sopra 50 le aspettative sono di crescita.
Per la zona euro l’indice PMI manifatturiero si è fermato a 33,6 e quello dei servizi 11,7. Per la Germania manifattura a 34,4 e servizi a 15,9. La Francia ha avuto 31,5 per l’indice manifatturiero e 10,4 per i servizi. Sono numeri ben al di sotto delle già brutte previsioni degli analisti e, per tutte e 3 le aree, sul manifatturiero raggiungono i livelli minimi segnati al culmine della recessione del 2009, mentre per i servizi battono ogni record negativo da quando è nata la serie storica.
Eppure neanche questi numeri sono bastati per decidere in fretta ed è già molto che le dichiarazioni finali abbiano riconosciuto l’urgenza di intervenire. Ma il disaccordo permane sui dettagli, per cui si è rinviata ogni decisione finale ad un prossimo vertice.
Sarebbe ingiusto dire che non si sono fatti passi avanti. Il vertice ha ratificato i tre pilastri su cui era stato raggiunto l’accordo in sede Eurogruppo:
- Modifica dei criteri di utilizzo del MES con la messa a disposizione fino a 240 miliardi per gli stati che vogliono attingere entro il limite del 2% del PIL e con la sola condizione di spendere i soldi per la sanità e per combattere il virus.
- Nascita di uno strumento (SURE) a carico del bilancio della UE per erogare 200 miliardi agli stati membri per finanziare la cassa integrazione.
- Utilizzo della BEI con finanziamenti per 100 miliardi in aiuto delle imprese.
Il totale di 540 miliardi deve essere definito nei dettagli e reso pronto per partire entro il 1° giugno.
Si dà il caso però che le imprese ed i lavoratori siano sott’acqua già da due mesi e non è detto che tutti riescano a sopravvivere fino a giugno, per poter essere salvati dalla UE. Anche i soldi per la sanità servirebbero subito e non tra due mesi, a meno che non si pensi di usarli per fronteggiare la seconda ondata di contagi, che tutti fanno gli scongiuri per non incontrare mai.
Sul quarto pilastro, quello più corposo, si è raggiunta l’intesa per seguire la via proposta dalla Commissione UE ed appoggiata dalla Germania: il Recovery Fund sarà istituito con l’emissione di Bond da parte della Commissione UE, garantiti con una quota del bilancio europeo del periodo 2021-2027, che pertanto dovrà essere potenziato per poter svolgere anche le altre funzioni tradizionali della UE. Non è stata decisa ancora la potenza di fuoco del Fondo, né se erogherà solo prestiti o anche finanziamenti a fondo perduto, e nemmeno quando partirà. Comunque, se deve fare affidamento sul bilancio pluriennale 2021-2017, non potrà sorgere prima del prossimo anno.
Alla faccia dell’urgenza! C’è da chiedersi se, quando sarà pronto, troverà ancora qualche impresa viva.
E’ il solito metodo di Bruxelles, che parte in ritardo e procede lentamente, per colpa delle decisioni importanti da prendere all’unanimità e della lentezza delle burocrazie. Anche se va detto che in questa situazione di emergenza la Commissione Europea è stata l’istituzione più rapida, e questo credo che vada a merito della Presidente Ursula Von der Leyen. Il collo di bottiglia non è la Commissione, ma gli Stati e la governance farraginosa dell’Unione, che riserva al Parlamento un ruolo poco più che consultivo, alla Commissione il ruolo esecutivo ed alla pletora dei 27 Stati, ognuno concentrato sugli interessi della sua bottega, le decisioni importanti. Che per di più debbono essere prese all’unanimità. In queste condizioni la rapidità è impossibile.
Oggi vedremo come i mercati accoglieranno la mezza decisione e la lentezza europea, che per il nostro paese appare tutt’altro che favorevole, al di là delle parole.
Ieri la seduta è stata positiva per gli indici europei, che hanno recuperato ancora un po’, andando a chiudere nel momento di maggior vigore degli indici americani. Eurostoxx50 ha fatto +0,62%, ma meglio ha fatto il nostro Ftse-Mib (+1,47%), forse per le speranze che si nutrivano nel vertice.
E’ probabile che questa esuberanza abbia vita breve, fin da oggi.
In USA SP500 ha fallito ancora una volta il ritorno ai massimi di lunedì scorso e l’attacco alla media mobile semplice a 50 sedute, ed ha chiuso in lievissimo calo, ma soprattutto con una candela che assomiglia molto ad un modello di esaurimento della spinta.
Gli indici USA hanno sette vite, per cui tutto è ancora possibile. Però la forma dell’azionario USA non sembra più smagliante come la settimana scorsa.
Oggi potrebbe essere di nuovo il caso di testare i supporti della congestione. Salvo sorprese, sempre possibili di venerdì.
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