Inizia in ribasso la settimana dei mercati, dopo la galoppata che le quotazioni azionarie ed obbligazionarie hanno attuato per tutto il mese di giugno e le prime sedute di luglio. Il malessere è iniziato venerdì in concomitanza con il dato forte del mercato del lavoro USA, in grado di creare in giugno 224.000 nuovi posti di lavoro non agricoli, ben oltre il fiacco dato del mese precedente (72.000) e delle attese degli analisti (160.000). Una manifestazione di salute dell’economia che ha spaventato gli investitori.
Non ho sbagliato a scrivere. I mercati si sono preoccupati di un’economia che sembra andare ancora piuttosto bene. Mi rendo conto che in un mondo normale bisognerebbe festeggiare la forza dell’economia e preoccuparsi della sua debolezza. Ma da tempo non viviamo più in un mondo normale. I mercati sono stati drogati per anni da liquidità pompata senza soste dalle banche centrali, che ha permesso di dimenticare che in fondo nel decennio che terminerà a fine anno l’economia USA è cresciuta ad un tasso medio annuo di poco più del 2%, un punto in meno di quanto cresceva negli ultimi 3 decenni del secolo scorso e solo leggermente di più del ritmo tenuto nel decennio scorso, gravato dalla grande recessione del 2008-2009.
L’enorme pompaggio monetario attuato negli ultimi anni ha prodotto un lungo periodo di rendimenti azzerati su masse sempre più grandi di titoli obbligazionari e consentito alla speculazione azionaria di finanziarsi gratis, per scambiare titoli a quotazioni sempre più alte, che esprimono valutazioni sempre più sganciate dalla capacità futura di generare utili.
Tutti sanno che il mercato toro a cui stiamo ancora assistendo è il più lungo della storia, avendo superato i 10 anni di rialzo senza una correzione superiore al 20%. Tutti sanno che una recessione deve arrivare, poiché la ciclicità dell’economia può essere narcotizzata dalla pioggia di denaro gratis, ma non uccisa, anche perché il pompaggio monetario produce distorsioni che prima o poi verranno pagate da una recessione.
Ma tutti sono saldamente ancorati all’esperienza del passato, in cui le banche centrali, in modo sincronizzato, hanno iniettato una cura monetaria da cavallo, che ha fermato il crollo del 2008-2009, indotto un mercato rialzista epocale su obbligazionario ed azionario e cambiato letteralmente i connotati dei mercati. Prima della grande repressione finanziaria i mercati obbligazionari servivano a misurare il rischio emittente ed il rischio inflazione attraverso il rendimento, che veniva determinato dalle forze della domanda e dell’offerta. Le borse azionarie invece mettevano nelle quotazioni le prospettive di utili futuri delle imprese quotate.
Nell’era della repressione finanziaria il rischio non viene più misurato dal rendimento, ma scompare, piallato da rendimenti azzerati o addirittura negativi. In realtà il rischio non scompare mai. Viene semplicemente non retribuito, grazie al fatto che quel che a certi prezzi nessuno comprerebbe, viene acquistato dalle ripetute e generalizzate manovre di Quantitative Easing delle banche centrali. Il mercato viene così drogato con quotazioni che incorporano il rischio zero, che è finanziariamente un assurdo. Detto per inciso, le banche centrali, che dovrebbero essere arbitri tra i creditori ed i debitori, stanno parteggiando spudoratamente per i debitori, a cui azzerano i costi del debito, e danneggiano i creditori, che non vengono più remunerati per il rischio che corrono.
Anche le azioni vengono abnormemente gonfiate, poiché da un lato tutti gli investitori che vogliono un po’ di rendimento sono obbligati a spostarsi su attività più rischiose, come appunto quelle azionarie. Dall’altro la disponibilità di finanziamento a costi nulli spinge le imprese quotate ad indebitarsi per effettuare sempre più operazioni di acquisto di azioni proprie (buyback), che drogano l’utile per azione poiché lo ripartiscono su un monte titoli sempre minore, e consentono di presentare multipli falsamente convenienti. Il gioco è diventato il seguente: la banca centrale abbassa i rendimenti e pompa liquidità. Questa finisce alle imprese quotate a costo zero o quasi, che la usano per comprare le proprie azioni o distribuire dividendi. Spero, anche se è difficile farlo attraverso uno scritto, di essere riuscito a trasmettere la terribile puzza che proviene da questo gioco perverso, molto simile ai classici “Schemi Ponzi” che si basano sulla illusoria moltiplicazione del denaro con il denaro.
A me pare evidente che questo schema può essere utilizzato, turandosi completamente il naso, per periodi brevi e per fronteggiare emergenze gravi. Non per sempre, poiché gli effetti collaterali possono portare una devastazione peggiore del guasto che deve riparare. La chemioterapia ha senso in caso di tumore e con cicli brevi e mirati. Non ha senso usarla quotidianamente al posto del pane, perché ucciderebbe il paziente.
Ebbene, che le misure di easing monetario e di tassi azzerati sarebbero state eccezionali e temporanee ce lo hanno raccontato per 3-4 anni, tanto che poi lo scorso anno si è avviata la cosiddetta “normalizzazione”, dapprima in USA e, con molta più calma, avrebbe dovuto avviarsi quest’anno anche in eurozona e forse il prossimo in Giappone.
Ma ai primi segnali di rallentamento i mercati hanno mostrato di non saper vivere senza la dose di QE quotidiana ed hanno cominciato (nel quarto trimestre 2018) a subire una prima forte crisi di astinenza. La FED, ad inizio anno, è stata costretta a tornare rapidamente sui suoi passi, sospendendo la normalizzazione e segnalando la disponibilità a fornire altra droga monetaria ai mercati. La FED è stata immediatamente seguita a ruota dalle altre banche centrali, che la normalizzazione non l’avevano neppure iniziata.
La prima metà dell’anno ha perciò riportato sui mercati non solo il sorriso, ma addirittura l’euforia del tossico a cui, dopo avergli detto “adesso basta”, si torna a procurare cocaina gratis per paura spacchi tutto in crisi di astinenza.
La scomparsa dei rendimenti, che ci era raccontato come eccezionalità, sta ora diventando la normalità per ancora qualche anno.
Gli effetti collaterali saranno devastanti e saranno nascosti dall’effetto della droga fino a quando questo clima di abbondanza virtuale occuperà nei cervelli degli operatori lo spazio che dovrebbe essere riservato alla realtà.
Uno degli effetti, che stiamo vedendo in questi giorni è l’assoluta dissonanza percettiva dei mercati rispetto ai dati economici che ci vengono comunicati.
La realtà economica non viene più valutata per quello che è, ma solo in relazione a quel che indurrà nella mente dei banchieri centrali.
Venerdì scorso il dato sul mercato del lavoro è stato oggettivamente un buon dato. In un mondo normale le borse azionarie avrebbero dovuto essere contente.
Invece i mercati ora non vogliono dati buoni, perché se arrivano dati buoni la FED potrebbe rinviare il taglio dei tassi, che le aspettative hanno già messo nei prezzi con il rally di giugno.
I dati che piacciono ai mercati azionari ora sono quelli bruttini, in grado di confermare nella FED la necessità del taglio preventivo dei tassi. Non quelli spaventosi, poiché in questo caso verrebbe a prevalere la paura della recessione e qualche dubbio che la FED riesca a controllarla.
E’ per questo che proprio venerdì il dato troppo bello ha messo un po’ di paura ai mercati. Paura che è proseguita ieri ed ha allontanato di nuovo un po’ Wall Street dai massimi storici realizzati la scorsa settimana.
E’ la paura che la Fed li abbandoni. Perché i mercati, senza la coca-money delle banche centrali, non possono proprio tirare avanti.
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