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L'ENTUSIASMO E' GIA' FINITO?
26/06/2019 08:45

Nel commento di ieri mattina avevo notato che l’azionario sembrava aver perso buona parte della baldanza che ne ha contraddistinto i tre quarti del mese di giugno.

La seduta di ieri ha confermato questa impressione, peggiorandola. Gli indici azionari principali hanno subito la seconda battuta d’arresto consecutiva, più significativa di quella di lunedì.

In questo modo l’azionario globale mostra un primo abbozzo di intenzione di adeguarsi al pessimismo che gli altri asset (bond, oro e bitcoin, che molti considerano una sorta di oro digitale) hanno recepito, accogliendo i flussi in arrivo da molti investitori che temono l’arrivo della recessione.

L’avversione al rischio, che stranamente fino alla scorsa settimana si vedeva dappertutto tranne che sui listini azionari, inebriati dall’illusione che le banche centrali, tagliando i tassi, avrebbero favorito la salita continua delle azioni in borsa, ora sembra affacciarsi anche sul mercato azionario, che pare già soddisfatto per l’impresa che ha compiuto l’indice USA SP500 quando la scorsa settimana è riuscito a realizzare il nuovo massimo storico.

A spingere gli operatori in azioni ad una maggior cautela e a favorire significative prese di beneficio ieri sono arrivati dati di colore grigio dagli indicatori macroeconomici che misurano il clima congiunturale dell’economia USA. In particolare è emersa una certa debolezza nel mercato immobiliare, che da parecchi mesi vede una erosione del tasso di crescita dei prezzi delle case, come rilevato dall’indice Case-Shiller sulle 20 principali aree degli USA. Ma anche i consumatori cominciano ad essere meno fiduciosi nel futuro. L’indice di fiducia che il Conference Board misura ogni mese ha rilevato in giugno un calo consistente da 134,1 a 121,5, ben 10 punti circa in meno delle attese degli analisti che già prevedevano una flessione che a conti fatti si è rivelata assai peggiore.

Questi dati hanno fornito l’occasione ai venditori di prevalere fin dall’apertura dei mercati USA, e, di conseguenza, hanno costretto i mercati europei a segnare una chiusura negativa. Non molto accentuata su Eurostoxx50 (-0,32%), ma assai più sul nostro Ftse-Mib (-0,73%), gravato dalla pesantezza del settore bancario, che dovrà farsi carico del salvataggio di Banca Carige, e senza poter dare la colpa del calo ai dividendi, come avvenuto lunedì.

Dopo la chiusura europea le cose in USA non sono migliorate, anzi. Alle 19 le parole di Powell, che è intervenuto ad un evento pubblico dedicato alla comunità finanziaria newyorkese, ha gettato un po’ di acqua gelida sui bollenti spiriti di Trump, che non perde occasione per pretendere il taglio dei tassi, e degli operatori finanziari che vogliono altrettanto. Ha delineato una fotografia dell’economia USA tutt’altro che debole, anche se le incertezze esterne (guerra commerciale e crescita globale) sono aumentate. Ha ammesso che il taglio dei tassi è possibile, ma che non è ancora stato deciso e che dipenderà da quel che succederà nelle prossime settimane. Insomma: non è ancora detto che a luglio avvenga la sforbiciata che tutti danno per certa. Ed ha terminato con una risposta d’altri tempi a chi gli tira la giacchetta: “Siamo umani, possiamo commettere errori, spero non spesso, ma non faremo errori sulla nostra integrità”.

Un bel modo per dire a tutti di stare al proprio posto.

Non era questo il genere di dichiarazioni in grado di spingere all’acquisto. Perciò dopo le parole di Powell i listini USA si sono ulteriormente appesantiti, arrivando ad un saldo finale sui minimi e con perdite che sui grafici lasciano un segno nero: SP500 -0,95% e soprattutto Nasdaq100 -1,70%.

In questo modo la seduta odierna non può permettersi analoghi passi falsi, pena il ritorno dell’avversione al rischio e una correzione assai più significativa.

Ormai i quotidiani dispetti tra USA e Cina rendono poco probabile la ripresa delle trattative commerciali in modo costruttivo, che solo un miracolo diplomatico nell’incontro tra Trump e Xi venerdì prossimo potrebbe favorire.

Non spinge all’ottimismo neppure l’inasprirsi delle ostilità tra USA ed Iran, con la minaccia che scoppi qualche scintilla militare in grado di far deflagrare la situazione nel golfo di Oman, pieno di petroliere in transito. Lo scenario di guerra fredda tra USA ed Iran è pienamente incorporato nei prezzi del greggio, che ieri sono tornati sopra i 59 dollari al barile. Ma non pare ancora scontata l’ipotesi di guerra “calda”, che i mercati per ora non considerano probabile. Questo significa che, se dovesse scoppiare, impennate ulteriori nei prezzi del greggio ed effetti negativi sui mercati azionari mondiali  sarebbero molto probabili.

Siamo nuovamente nelle condizioni che consigliano di viaggiare accompagnati dalla cautela, che magari non ci darà occasioni di guadagnare, ma almeno ci aiuta a non perdere.

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