Dopo una settimana scoppiettante, che, come ho descritto nel commento di ieri, ha visto l’indice USA SP500 mettere a segno l’ennesimo massimo storico, mentre diventavano sempre più evidenti le divergenze nella percezione del futuro da parte dei principali asset di investimento (azionario, obbligazionario, oro e petrolio), l’inizio dell’ultima settimana del mese di giugno sembra mostrare qualche prima titubanza. Siccome la forza dell’obbligazionario e dell’oro, tipici beni rifugio, sono rimaste immutate, se non addirittura cresciute, dato che l’oro è arrivato questa notte a toccare i 1.440 $ l’oncia ed il rendimento del Treasury decennale è ancora nei dintorni del 2%, a farsi prendere dalle incertezze è stato il mercato azionario, che ieri ha subito una piccola battuta d’arresto. Poca cosa rispetto all’impeto della salita mostrato la scorsa settimana (SP500 -0,17%, Eurostoxx50 -0,33%, Dax -0,55% e Ftse-Mib -0,49% soprattutto per colpa dello stacco dividendi), ma pur sempre l’evidenza che sull’indice americano principale, per la terza volta negli ultimi 10 mesi si è rivista quella strana paura di spiccare il volo, una volta superato il precedente massimo storico. Come se l’ostinazione mostrata nel tornare pervicacemente ai massimi, contro ogni logica di misurazione del valore delle società quotate e delle prospettive future dell’economia americana, e in plateale divergenza con la percezione del futuro che proviene dal comportamento degli altri asset, tutti concomitanti nel vedere la recessione in arrivo, una volta compiuto il paradosso del ritorno ai massimi storici, lasci il posto ad un senso di “vergogna” e faccia perdere di colpo tutta la baldanza mostrata nei giorni precedenti.
Questa strana sindrome l’abbiamo già vista comparire a fine settembre 2018, poco prima dell’inizio dell’orribile ultimo trimestre che a Natale ha regalato il carbone del segno negativo a tutti gli asset, e, successivamente, circa due mesi fa, prima della scivolata di maggio. Wall Street sembra nuovamente attanagliata dalla medesima paura di volare di quei giorni, e deve presto fugare queste incertezze, se vuole evitare una nuova cocente correzione.
Ci penserà il seguito di questa settimana a risolvere il rebus, dato che proprio negli ultimi giorni di giugno dovrebbero venire al pettine alcuni nodi importanti e far nascere il movimento che dovrebbe intrattenerci in luglio.
Venerdì prossimo è infatti previsto il G20 ad Osaka. Un evento che spesso si riduce alla solita parata delle delegazioni delle 20 principali economie mondiali, a cui, almeno per ora, partecipa anche il nostro paese e si risolve in una generica dichiarazione finale già preparata dagli sherpa prima che cominci il Vertice dei leader, tutti ansiosi di mettersi in mostra per la tradizionale fotografia di rito. Ma questa volta c’è un’importante appendice a margine: l’incontro tra Trump e Xi Jinping, che torneranno a parlarsi dopo le scaramucce commerciali degli ultimi mesi ed il rinvio a data da definire della ripresa delle trattative di pace.
La logica di quel che si sta osservando, a soli 3 giorni dall’evento, non lascia molte illusioni su un esito entusiasmante dell’incontro, anche se Trump, quando tratta a tu per tu riesce a dare il meglio di sé. I cinesi hanno messo le mani avanti, dicendo che non si riprende a trattare se gli americani non rimuovono le sanzioni inflitte in maggio, mentre gli americani hanno aggiunto un’altra manciata di imprese cinesi alla lista degli “indesiderabili” partner commerciali per le imprese USA. Non è proprio quel genere di carezze che ci vorrebbero per mettersi d’accordo.
A questo punto credo che sarebbe un ottimo risultato se uscisse la dichiarazione di voler riprendere a trattare. Il massimo si otterrebbe se Trump accettasse, come segno di buona volontà, di rinviare per un altro paio di mesi l’aumento dei dazi su 320 miliardi di $ di importazioni dalla Cina, che dovrebbe scattare automaticamente a fine luglio. Sarebbe già grasso che cola e i mercati azionari ne trarrebbero linfa speculativa.
L’altro nodo che dovrebbe venire al pettine in settimana è quello delle nomine europee, su cui lo stallo non può proseguire a lungo, dato che il 2 luglio si insedierà il Parlamento Europeo e non sarebbe affatto bello arrivarci senza aver deciso chi piazzare nelle 5 presidenze istituzionali UE (Commissione, BCE, Consiglio Europeo, Parlamento Europeo e Alto Rappresentante per la politica estera).
L’evoluzione di queste due partite avrà influenza evidente sull’andamento dei mercati, anche se quella tra Russia e Cina è in grado di coinvolgere maggiormente l’attenzione delle borse.
La partita europea invece avrà notevoli conseguenze sulla trattativa per evitare la procedura di infrazione per debito eccessivo a carico del nostro paese. Si sta diffondendo la voce che la Commissione Ue sia disposta a concedere abbastanza a Conte, se mostrerà qualche provvedimento concreto da attuare subito, e non solo retorica sulle regole da cambiare.
Ma il problema, per il nostro paese, è che ormai il premier di nome è Conte, ma quello di fatto è Salvini, e le sue intenzioni non sono affatto chiare. Anzi, si ha l’impressione che quasi quasi gradisca la procedura di infrazione, per mandare all’aria il governo e fare la campagna elettorale contro l’Europa.
Anche qui speriamo che i prossimi giorni chiariscano le idee.
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