Dopo l’esplosione di entusiasmo che nella seduta di martedì scorso ha pervaso i mercati europei e contagiato anche quelli americani, spingendo tutto l’azionario verso i massimi dell’anno ed i rendimenti obbligazionari ai minimi, ieri la giornata è passata a digerire la sbornia di spumante e ad attendere la risposta di Powell alle mosse di Draghi ed alle provocazioni di Trump.
La seduta europea è pertanto scivolata via senza emozioni intorno ai valori del giorno precedente. Gli indici europei hanno tenuto le posizioni conquistate il giorno prima senza migliorarle ulteriormente. Ha fatto eccezione positiva il nostro Ftse-Mib, salito ancora un po’ (+0,41% a quota 21.221) grazie alla buona vena del settore bancario, galvanizzato dalla promessa di aiuti della BCE per evitare che il futuro calo dei tassi le danneggi troppo.
Intanto, in attesa di Powell, nelle sale operative si è passato il tempo a commentare la mossa a sorpresa di Draghi, paragonabile al famoso “Whatever it takes” del 26 luglio 2012, che anticipò il varo del Quantitative Easing ed il lungo periodo di repressione finanziaria. L’agenzia Reuter ha pubblicato un articolo di gossip che riporta il malumore di qualche componente del Direttivo BCE, che non si aspettava un intervento così esplicito al di fuori del consesso istituzionale in cui queste decisioni dovrebbero essere prese, cioè, appunto, il Direttivo BCE. Come se Draghi avesse forzato la mano agli altri banchieri del Direttorio, annunciando un provvedimento non ancora discusso. Pare che la cosa abbia innervosito qualcuno, evidentemente non favorevole, che non ha gradito il decisionismo autoritario di un Presidente con le valigie ormai in mano.
Tuttavia, proprio il fatto che tra qualche mese Draghi si toglierà dai piedi, credo che basti a frenare i malumori interni ed a confinare nel pettegolezzo le voci pubblicate da Reuter.
Piuttosto mi sorprende un po’ che i mercati non siano ancora arrivati a farsi le classiche domande che seguono in genere le decisioni a sorpresa: perché Draghi ha deciso di muoversi così in fretta? Che cosa sa, che i mercati non sanno?
Probabilmente prima di farsi troppe domande i mercati hanno desiderato attendere Powell per avere un quadro completo dei cambiamenti di politica monetaria delle due più importanti banche centrali del mondo, su cui riflettere a mente fredda.
E Powell, tutto sommato, non ha sorpreso, facendo quel che i mercati si attendevano. Le quotazioni dei futures sui tassi affidavano scarse probabilità ad un taglio nella riunione di ieri, ma molto alte ad un taglio nella prossima riunione di luglio. La FED si è posizionata per accontentarli, rimuovendo dal comunicato il riferimento alla “pazienza” da mantenere prima di modificare la politica monetaria e segnalando che le incertezze sulle prospettive future dell’economia USA sono aumentate. In particolare ha evidenziato un calo degli investimenti e delle aspettative di inflazione.
Tuttavia non ha mancato di segnalare che la situazione permane in linea con gli obiettivi della FED: la crescita è ancora robusta, oltre il 2% di crescita del PIL, il mercato del lavoro è forte e l’inflazione è prossima al 2% desiderato.
Il confronto con l’Europa di Draghi pare impietoso, per Draghi. In USA gli obiettivi sono tutti raggiunti, mentre in Europa neppure uno. Eppure, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e dei mercati, Powell pare un comandante incerto e poco ispirato, mentre Draghi viene dipinto come un condottiero valoroso che tutti rimpiangeranno. Boh… Sarà merito dell’approccio comunicativo, in cui Draghi eccelle, mentre Powell risulta dimesso e poco assertivo.
Sta di fatto che con questo quadro macroeconomico dipinto dalla FED, non stupisce che solo un membro del FOMC abbia proposto il taglio immediato, mentre tutti gli altri abbiano votato per attendere ancora un mese.
Wall Street ha accolto la decisione con un moderato rialzo, il che conferma che Powell ha concesso solo quel che le borse già incorporavano negli indici, che peraltro continuano a procedere verso i massimi assoluti. SP500 (+0,30%) è ormai a soli 26 punti, cioè meno di un punto percentuale, dal suo record storico del primo maggio scorso. Stessa situazione si vede sul Dow Jones, mentre il tecnologico Nasdaq100 è leggermente più indietro, ma comunque a meno del 3% di distanza dal suo record. Sull’obbligazionario è continuato il calo dei rendimenti, con il Treasury decennale che ha sfondato anche la barriera psicologica del 2%, fermandosi sotto 1,99%.
Per sintetizzare la mia impressione sullo show di Powell, che è un po’ diversa da quella dei mercati, direi che vedo probabile, come i mercati, il taglio dei tassi a luglio, per tre motivi: il primo è che altrimenti i mercati si arrabbiano di nuovo; inoltre Powell dovrà pur controbattere all’aggressiva benevolenza della BCE per evitare che il dollaro salga troppo; infine quel “gentiluomo” che lo ha nominato pare che stia studiando le possibilità di rimuoverlo se non gli concederà questo aiuto, ripetutamente ed aggressivamente preteso.
Ma a mio parere Powell taglierà contro voglia, poiché in fondo non ne ravvisa affatto la necessità. E, soprattutto, credo che al momento non sia affatto dell’avviso dei mercati, che si aspettano, dopo il taglio di luglio, altri due tagli nel 2019 ed un ulteriore sforbiciata nel 2020. Se lo fosse non avrebbe certo confermato le stime di crescita per il 2019 al 2,1% ed alzato quelle per il 2020, dal 1,9% previsto a marzo al 2% previsto ieri.
Insomma. Il contentino la FED lo darà, per uscire dall’occhio del ciclone delle polemiche di Trump. Ma per farne altri occorrerà che falliscano le trattative con la Cina, su cui Trump è invece tornato ad essere molto fiducioso, e che i prossimi trimestri mostrino un rallentamento più marcato di quel che si vede ora nella crescita USA.
La mia impressione è che i mercati oggi si attendano una evoluzione economica assai peggiore di quella che vede la FED e le loro aspettative sui tassi futuri siano di un ribasso molto più accentuato di quanto Powell per ora mi paia disposto a concedere.
Qualcuno dovrà cambiare idea. La FED o i mercati? Vedremo.
Intanto oggi la speculazione può cambiare obiettivo, spostandosi sulla speranza di accordo tra Trump e Xi, sul quale le borse cinesi sembrano fare affidamento, con Shanghai in grado oggi di rompere al rialzo la congestione laterale che la ingabbiava da inizio maggio e di riproporre un tentativo di risalita verso i massimi dell’anno, che distano circa il 10% dai valori attuali.
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