La buona vena dei mercati azionari è proseguita anche ieri, sebbene Wall Street abbia cominciato ad accusare nella seconda parte della seduta il peso dell’ampio recupero messo a segno in una sola settimana dai minimi del primo giugno.
La velocità del recupero è stata infatti abbastanza impressionante. A dispetto della regola di comportamento tradizionale, che vuole le fasi di rialzo meno rapide ed impulsive di quelle ribassiste, ben espressa dal detto “i mercati salgono per le scale e scendono con l’ascensore”, questa volta SP500, l’indice azionario USA principale, è arrivato a recuperare in sole 5 sedute quel che aveva perso con un movimento ribassista di 11 sedute.
Desta quindi poco stupore che a metà seduta, raggiunto il massimo a quota 2.905, ben oltre la resistenza di 2.892, l’ultima da superare per aprirsi la strada verso i massimi assoluti, i compratori abbiano accusato un po’ di vertigini e la loro mano abbia tremato. I venditori sono così usciti allo scoperto ed hanno fatto retrocedere l’indice di nuovo sotto la resistenza, provocando una chiusura del mercato che ha disegnato una possibile figura di esaurimento del rimbalzo (inverted hammer).
Per essere precisi quel che si vede sul grafico non è ancora un modello di inversione ribassista completo. Occorre che oggi il mercato prosegua al ribasso e vada a chiudere la seduta odierna sotto il minimo di ieri (2.885). Se invece tornasse l’ottimismo e venisse compiuto oggi quel che sembrava ampiamente alla portata nella prima parte della seduta di ieri, e che poi è stato negato, cioè il superamento di 2.892 confermato fino al termine della seduta, potremmo certificare la fine della correzione e fare affidamento sul ritorno all’attacco dei massimi assoluti.
Chi mi facesse notare che un ritorno ai massimi del mercato azionario stride non poco con la scivolata del rendimento del Treasury Bond, con l’inversione della curva dei rendimenti, con l’indebolimento di molti indicatori macroeconomici e le previsioni di forte rallentamento della crescita USA nella seconda parte dell’anno…. avrebbe tutta la mia comprensione.
Già ieri ho fatto notare quanto sia evidente la divergenza nella percezione del futuro che si coglie sui mercati obbligazionari e su quelli azionari.
I primi scontano il taglio imminente dei tassi da parte della FED e prospettive fosche di crescita economica. I secondi si comportano come se il taglio fosse già stato fatto ed avesse già rimesso in sesto l’economia USA.
Pare evidente che l’azionario si stia portando un po’ troppo avanti con la speculazione. Se anche dessimo per scontato un taglio imminente ed un altro paio di sforbiciate entro fine anno, arrivare a pensare che questo basti per risolvere tutti i problemi che potrebbe creare l’ossessione per i dazi che Trump manifesta a getto continuo, significa avere un’enorme fiducia nel potere taumaturgico di Powell.
Un detto di borsa che si applica nei momenti di cambiamento nella politica monetaria da parte della banca centrale recita: “Vendi il primo taglio e compra l’ultimo”.
Dietro questo detto c’è l’esperienza che quando la banca centrale inverte la direzione della sua politica monetaria, è perché ha colto segnali di rallentamento economico molto consistenti, destinati a durare ed imprimere un forte shock ai bilanci delle imprese quotate, che il mercato dovrà in qualche modo valutare attraverso una correzione più o meno profonda dei prezzi. L’esplicarsi degli effetti della manovra accomodante richiede tempo e solo quando la banca centrale arriverà al termine i bilanci ne dovrebbero rilevare i benefici. Perciò quello dovrebbe essere il momento per comprare.
Evidentemente la speculazione rialzista sull’azionario fa un altro ragionamento, partendo dal fatto che le decisioni operative “moderne” non si basano più sulla misurazione del valore di quel che si compra (o si decide di non comprare), ma solo sulla ricerca spasmodica di rendimento a breve.
E, siccome il contesto di repressione finanziaria che dura da 5 anni ha portato la stragrande maggioranza dei bond sovrani emessi dai paesi più solidi in territorio di rendimento nullo o negativo, ed i Treasury rappresentavano ancora uno dei pochi approdi a cui ci si poteva rivolgere per avere rendimenti discreti a basso rischio, il dietro-front sui tassi da parte della FED (anticipato dai rendimenti di mercato, che sono già arretrati di oltre un punto in soli 7 mesi) sta per chiudere ai capitali anche i porti obbligazionari americani.
Ai poveri (per modo di dire) gestori dei fondi, alla disperata ricerca di rendimento di breve non resterà che rivolgersi alle obbligazioni corporate a maggior rischio, oppure a quelle emesse da stati con i conti dissestati (ogni riferimento alla nostra Italia è puramente… voluto), ed infine al mercato azionario, andando così a gonfiare ulteriormente la bolla sul credito marcio e quella sull’azionario che è già 5 anni che si sta gonfiando.
Più si gonfia la bolla, più i disastri che creerà il suo scoppio saranno devastanti. E’ fuori discussione che è impossibile che si possa andare avanti così per qualche anno.
Ma non che si possa fare ancora un giro di giostra rialzista, l’ennesimo, alla faccia del buon senso e grazie alla pressione di Trump e dei mercati sul povero Powell, che è ormai all’angolo e dovrà fornire presto l’ennesima bombola d’ossigeno monetario.
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