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DOPO IL SELL IN MAY, INCOGNITE ANCHE SU GIUGNO
03/06/2019 08:45

La seduta di venerdì scorso ha una valenza molto particolare, poiché ha terminato sia la settimana che il mese di maggio e consente agli operatori di valutare l’impatto del mese che ha interrotto bruscamente il volo verso il paradiso finanziario, che sembrava inarrestabile fino a fine aprile.

La sintesi che emerge dal comportamento in maggio dei mercati azionari globali è che le borse stanno scontando l’arrivo di problemi tutt’altro che rilevanti, che questi problemi paiono più gravi sui listini occidentali che su quelli cinesi, e che in Europa il mercato azionario italiano ha perso tutta la baldanza della prima parte dell’anno.

Che maggio sia stato un mese di inversione di marcia è fuori di dubbio, se consideriamo che tutte le ultime 4 settimane, per gli indici USA, sono state negative ed in accelerazione, con perdita di -5,7% rispetto a fine aprile per l’indice principale SP500 (ancor peggio, -8,4%, è andato il tecnologico Nasdaq100). Lo storno in Cina è iniziato già in Aprile, e ciò ha consentito al mese di maggio di limitare i danni a -5,8% per l’indice di Shanghai e soprattutto di sottrarsi alla negatività nell’ultima settimana del mese. Tre su 4 sono state le settimane negative anche in Europa, ma con accelerazione ribassista nella seconda parte del mese, che è costata ad Eurostoxx50 una perdita superiore (-6%) rispetto ai listini principali di USA e Cina. I grattacapi  del nostro Ftse-Mib sono ben rappresentati dal -8,8% realizzato in maggio, che pone l’Italia come fanalino di coda in Europa.

Intendiamoci. Molto fieno rialzista è stato messo in cascina dalle borse mondiali nel primo quadrimestre. Disperderlo tutto in un solo mese avrebbe richiesto eventi talmente devastanti da superare l’immaginazione. Però maggio, che anche quest’anno ha rispettato il famoso detto “Sell in May and go away”, si è incaricato comunque di assestare una botta di realismo a mercati che si erano portati troppo avanti nell’immaginazione di scenari idilliaci ed a dare per certa la fine imminente delle ostilità commerciali tra USA e Cina. L’errore nelle aspettative li costringe a riprendere in considerazione quegli scenari di forte rallentamento, se non di recessione, che nell’ultimo trimestre avevano turbato i sonni degli investitori e che la svolta della politica monetaria USA e l’ottimismo di Trump sull’accordo con i cinesi sembravano aver fugato a gennaio.

L’accelerazione ribassista che si è vista la scorsa settimana, che è costata a SP500 quasi metà della perdita mensile, è dovuta proprio all’intensificarsi degli eventi negativi dal fronte della guerra commerciale. Non solo sono entrati in vigore i dazi cinesi su 60 miliardi di prodotti USA, attuati in risposta a quelli americani. Innumerevoli altri segnali evidenziano un aumento delle ostilità e degli sgarbi reciproci tra Cina e USA, che rendono sempre più lontana e difficile la ricomposizione del conflitto. L’ultima  mossa attuata da Trump sta inoltre rapidamente trasformando la guerra commerciale da locale (USA-Cina) a globale. E’ di giovedì scorso infatti l’annuncio dell’imposizione di dazi progressivi al Messico a partire dal 9 giugno, con una tariffa del 5%, che si incrementerà di analoga percentuale ogni mese successivo, fino a raggiungere ad ottobre il tetto del 25%, se continuerà il flusso in USA di immigrati irregolari. L’aggressività mostrata da Trump porta gli operatori ad interrogarsi se il prossimo bersaglio non sia l’Europa. Inoltre lancia un terribile messaggio di inaffidabilità da parte del Presidente USA, che non ha esitato ad effettuare un clamoroso voltafaccia, imponendo dazi ad un paese con il quale aveva firmato solo poche settimane prima la revisione dell’accordo quadro di interscambio NAFTA.

Ciò che genera forte instabilità, a mio parere, è il fatto che Trump si mostri ancora convinto che i dazi rappresentino un’arma utile a raggiungere fini geopolitici e contemporaneamente producano vantaggi economici agli USA. E’ una teoria a cui crede solo lui. Nessun economista serio, nessuna istituzione economica e tantomeno i mercati accreditano questa visione, ma tutti, eccetto Trump,  vedono nella guerra commerciale un boomerang in grado di generare, come tutte le guerre, effetti distruttivi generalizzati sulla crescita globale ed anche su quella USA.

E’ significativo il messaggio quasi disperato lanciato venerdì sera da Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York, che certo non può essere annoverato tra i nemici politici di Trump. Ha invitato il congresso a fermare il presidente americano prima che sia troppo tardi per ovviare ai danni provocati dalla sua politica commerciale.

Pensare che Trump possa protrarre ed intensificare le ostilità commerciali per mostrare i muscoli al suo elettorato nella lunga campagna elettorale che ci separa dalle elezioni presidenziali del novembre 2020, getta una lunga ombra di pessimismo sulle sorti dell’economia globale e di quella americana, e giustifica il netto dietrofront dei mercati in maggio.

Infatti quei timori di recessione in arrivo, che sembravano prematuri a fine 2018 e sono stati accantonati durante il rally del primo quadrimestre 2019, sono tornati prepotentemente alla ribalta, come dimostrano non solo i cali degli indici azionari, ma anche gli altri principali indicatori di mercato. Il mese di maggio ha infatti portato un deciso ribasso nei rendimenti obbligazionari. Il Treasury decennale è sceso al 2,13%, sui valori minimi dell’estate del 2017. La curva dei rendimenti è ormai quasi del tutto invertita. Rispetto alla scadenza a 10 anni, tutte le scadenze brevi fino ad un anno presentano rendimenti superiori ed i futures sui tassi futuri a breve termine scontano addirittura un paio di tagli dei tassi da parte della FED entro fine anno.

Il petrolio, nonostante le tensioni internazionali che hanno fortemente ridotto la produzione in Libia, Venezuela, Iran, ha subito un crollo dei prezzi di quasi 10 dollari in due settimane, passando da circa 63 ad un minimo di 53 dollari venerdì scorso. Un calo così repentino di oltre il 15% riflette timori consistenti di recessione in arrivo.

L’indice della paura, il Vix, che misura la volatilità implicita delle opzioni sull’indice SP500, che in aprile si era portato in situazione di assoluta confidenza a quota 11, in maggio ha passato tutto il mese sopra quota 15, con una prima puntata oltre i 20 punti all’inizio del mese ed il ritorno verso quel valore venerdì scorso, preparandosi a superarla oggi.     

Tecnicamente la correzione di SP500 ha già fatto parecchia strada, sebbene il completamento della figura ribassista di testa e spalle le consenta di estendere ancora il ribasso. Venerdì abbiamo avuto tre conferme di tutto rispetto. Una è la ripresa del ribasso dopo il pullback effettuato giovedì scorso, che ha confermato la trasformazione di quota 2.800 da supporto a resistenza. L’altra è la rottura anche della media mobile a 200 sedute, che i gestori di fondi considerano come discriminante tra mercato toro e mercato orso. La terza è il completamento della cosiddetta “croce della morte”, cioè l’attraversamento da parte della media mobile a 20 periodi di quella a 50, che è avvenuto giovedì con entrambe ormai piegate verso il basso. E’ spesso un segnale che prelude ad ulteriori accelerazioni ribassiste.

La discesa trova ora un suo primo obiettivo ribassista a circa 2.720 punti, che potrebbe essere testato già oggi. Il fatto che l’indicatore di forza relativa RSI(14) raggiunga l’area di ipervenduto qualora l’indice scivoli da quelle parti, potrebbe favorire la tenuta di questo livello ed un tentativo di rimbalzo. Del resto in quell’area sarebbe completato il ritracciamento del 38,2% del lungo movimento rialzista del primo quadrimestre e si trova il supporto rappresentato dal minimo del mese di marzo (2.722). L’eventuale rimbalzo non mi porterebbe comunque eccessivi entusiasmi finché non riuscisse a superare quota 2.800.

Ovviamente l’Europa è destinata a seguire la direzione dettata da Wall Street, salvo che si avveleni ulteriormente il clima in Italia, in questa settimana in cui la Commissione UE esaminerà la vaghissima risposta che Tria ha inviato a giustificazione del clamoroso fallimento degli obiettivi sottoscritti solo pochi mesi fa.

Sulla situazione italiana ci sarebbe parecchio da dire ed oggi non c’è più spazio. Non mancherà l’occasione nei prossimi giorni.

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