La saga mediatica sulla guerra commerciale, che, parafrasando la fortunata serie che tiene incollati alla pay-tv molti milioni di persone nel mondo, potremmo chiamare “Il Trono di Smartphone”, ha vissuto ieri una nuova puntata. E’ stata la giornata in cui i mercati hanno preso atto che i cinesi sembrano non aver alcuna fretta di inginocchiarsi contriti al cospetto di Trump, dato che Huawei ha dichiarato che entro l’autunno sarà disponibile un sistema operativo autonomo che le permetterà (forse, aggiungerei, per cautela) di assorbire il colpo della cessazione dell’utilizzo di Android sui suoi dispositivi. Inoltre pare proprio che i cinesi stiano preparando le contromosse, da somministrare a freddo e senza sbraitare tante minacce, al contrario di Trump.
Perciò le borse hanno cominciato a scontare più seriamente l’ipotesi di prolungamento e di intensificazione delle ostilità tra le due parti, dato che la partita sembra ormai essersi spostata dal terreno più semplice da esplorare degli squilibri nell’interscambio commerciale tra i deu paesi a quello molto più strategico e complesso della sicurezza nazionale e del dominio futuro sulla tecnologia, cioè sul mondo. In altre parole, la guerra tra USA e Cina da commerciale sta diventando tecnologica e questo secondo tipo di conflitto è molto più simile alla guerra militare, e pertanto difficile da ricomporre.
Pertanto i mercati hanno drasticamente alzato il livello di preoccupazione, che ha significato per le borse europee un calo di quasi due punti percentuali. Un po’ peggio, -2,12% è andato il nostro Ftse-Mib, con uno solo dei 40 titoli del paniere, Italgas, in timido rialzo. Gli indici USA hanno perso solo un po’ meno: -1,52% il tecnologico Nasdaq100 e -1,19% l’indice principale SP500.
Non siamo ancora alla disperazione, dato che SP500 è sceso fino ad un minimo di 2.805, assai vicino al supporto di area 2.800 che rappresenta un diaframma da non abbattere, pena una probabile accelerazione ribassista simile a quella che abbiamo visto in dicembre, ma (miracolosamente?) nell’ultima ora è rimbalzato con vigore, allontanandosi una ventina di punti dal burrone ribassista.
Forse è servita la solita dichiarazione rassicurante di Trump, che ha confermato che la battaglia contro Huawei ed i tecnologici cinesi può entrare nei negoziati e lì essere in qualche modo ricomposta. Ovviamente non gratis.
I mercati, dopo 10 anni di rialzi, sono naturalmente propensi a credere alle notizie che alleggeriscono la pressione. Forse interpretano le parole di Trump come un segno che qualcuno è riuscito a fargli capire che dalle guerre si può anche uscire vincitori, ma che anche i vincitori ne escono con dei danni che possono essere molto dolorosi. Può darsi che oggi le borse europee aprano perciò con un tentativo di rimbalzo, almeno parziale.
Però quel che conta è come i cinesi prendono questa politica del bastone e della carota attuata da Trump. Se la considerano un tentativo di volgere la globalizzazione a vantaggio del dominio americano, potrebbero farne una questione di orgoglio nazionale. In questo caso il regime cinese ha molte più armi (politiche, giuridiche ed ideologiche) per combattere una guerra di quante ne abbia un paese democratico.
La storia degli ultimi 70 anni ci ha dimostrato che per ottenere sviluppo in tempo di pace le democrazie liberali sono il sistema politico più efficace. Però le dittature, prive di scrupoli etici, contrappesi politici ed opposizione legittima, sono molto più rapide ed efficienti delle democrazie per combattere le guerre.
Non è affatto detto, pertanto, che la pretesa di ridurre a miti consigli i cinesi con dazi e chiusure commerciali sortisca gli effetti sperati. Se l’attacco di Trump verrà respinto con perdite, la partita diventerà molto difficile per gli americani. I cinesi, benché molti di loro abbiano già assaggiato il benessere e l’abbondanza, sono ancora abituati a soffrire. Gli americani e gli occidentali, in gran parte, non lo sono più da tempo. Nemmeno Trump. E chi non è disposto a soffrire sarebbe bene che non dichiarasse le guerre. Perché potrebbe essere costretto a perderle ed a ritirarsi con la coda fra le gambe.
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