La settimana passata è stata largamente positiva per l’azionario USA (+1,5% il risultato settimanale di SP500, come la settimana precedente) e stentatamente moscia per quello europeo (+0,18% la variazione settimanale di Eurostoxx50).
Si è perciò ripetuto il film che stiamo vedendo da inizio maggio che ci presenta gli investitori che, quando vogliono diminuire il rischio, vendono soprattutto l’Europa, mentre quando vogliono comprarlo, acquistano soprattutto titoli USA.
Se guardiamo il rapporto di forza relativa (spread ratio, in termini tecnici) tra i due indici più rappresentativi delle due sponde azionarie dell’Atlantico, appunto Eurostoxx50 e SP500, notiamo che la sottoperformance europea rispetto all’azionario USA è andata in scena lo scorso anno per un anno intero, per la precisione da marzo 2017 a metà marzo di quest’anno. La primavera 2018 sembrò portare un risveglio di performance da parte di Eurostoxx50, che mise a segno ben otto settimane positive consecutive ed attuò un recupero di forza relativa che lasciava sperare in un effettivo spostamento delle attenzioni degli investitori verso l’Europa. Ma purtroppo il fenomeno si rivelò un fuoco di paglia e la consueta instabilità politica europea, questa volta manifestata non solo dalle travagliate vicende governative italiane, ma anche da una crisi di governo addirittura in casa Merkel, riuscì a rimettere in moto il trend discendente di questo indicatore. Questa settimana è tornato sui livelli minimi raggiunti il 9 marzo scorso, annullando del tutto le illusioni primaverili.
Anche perché in effetti in USA si stanno rivedendo sintomi di euforia tipici più del 2017 che di quest’anno. In settimana abbiamo avuto un nuovo massimo storico sia per l’indice delle small cap Russell 2000 che soprattutto per il tecnologico Nasdaq100, che sente il profumo delle trimestrali in arrivo e, evidentemente, punta a rivedere quei risultati clamorosamente positivi che si sono visti 3 mesi fa, quando ci fu la presa in carico sui primi rendiconti trimestrali del 2018 dei regali fiscali piovuti dalle mani di Trump, molto generose col suo elettorato e, a giudicare dall’andamento del debito pubblico USA, piuttosto bucate.
L’ansia di rally da trimestrali ha spazzato via ogni timore, che pure mercoledì scorso si era materializzato, di escalation della guerra commerciale USA-Cina. Prima di partecipare al vertice NATO, Trump aveva fatto trapelare l’intenzione di procedere nella fissazione di altri dazi contro prodotti cinesi per un valore complessivo di circa 200 miliardi di import, una cifra enorme, rispetto a quel che si era visto in precedenza. Ma la minaccia non ha prodotto atti concreti ed ha lasciato spazio ad altre minacce, che nei giorni successivi Trump ha sparso sugli alleati, arrivando persino a ipotizzare l’uscita del’America dall’Alleanza Atlantica, pur di convincere gli europei, e soprattutto i tedeschi, ad aumentare drasticamente le loro spese militari. La minaccia è rimasta tale anche in questa situazione, e le cronache ci riportano che l’odiatore seriale anche poche ore fa, in un ‘intervista alla CBS, ha rincarato la dose di offese, definendo l’Europa come un “nemico” degli USA, al pari e forse più di Russia, che lo è “per certi aspetti” e Cina, che lo è economicamente.
I mercati sono ormai abituati ai capricci verbali dell’uomo che non sorride mai, e ormai ci hanno fatto il callo. Pertanto c’è da supporre che snobberanno oggi anche il vertice dell’anno, tra Trump e Putin, che si terrà a Helsinki, tra le proteste sempre più accese degli oppositori.
Sarà la solita photo-opportunity e probabilmente non succederà nulla di significativo. Putin ha bisogno che USA e NATO tolgano le sanzioni che la danneggiano. Trump deve restituire il favore elettorale ricevuto dalle spie tecnologiche russe. Si potrebbe allora pensare a passi avanti verso la normalizzazione dei rapporti tra Russia ed Occidente. Ma tutto l’apparato militare USA non vuole questa normalizzazione e continua a vedere i russi come nemici, e non solo per certi aspetti.
La maggioranza degli americani non ha la stessa opinione ammirata su Putin che Trump ha manifestato in campagna elettorale. Pertanto credo che sarà un vertice utile a chi si occupa di gossip o di cronache mondane, ma non ai mercati finanziari.
Questi saranno molto attenti alle trimestrali, che entreranno nel vivo in settimana con parecchi big e già oggi presentano una coppia di società di forte caratura (Bank of America e Netflix).
SP500 venerdì si è fermata sul bordo superiore dell’area di resistenza che ho indicato nei giorni scorsi (2.802) e potrebbe spiccare il volo decisivo verso i suoi massimi assoluti di 2.873, per unirsi al Nasdaq100 tra le nuvole dell’euforia. Sempre che le trimestrali mantengano le promesse ed ancora una volta riescano a battere le previsioni degli analisti su utili e ricavi.
Un’ultima riflessione va fatta sul caso Ronaldo, che ha spinto nei giorni scorsi molti tifosi juventini, scarsamente esperti di andamento dei mercati e di finanza comportamentale, a salire sul carro della Juve in borsa quando l’acquisto è diventato ufficiale, ignorando che da quando i rumor hanno cominciato ad occupare i social, a fine giugno, il titolo era già salito di circa il 42%. Comprato sui massimi, hanno assaggiato che cosa significa il detto “buy on rumor, sell on news”. In sole due sedute di borsa, dopo l’ufficializzazione del trasferimento, il titolo Juventus ha lascato sul terreno oltre il -16%. Auguro a tutti che un anno valga molto di più, ma intanto la vicenda è servita a verificare che le borse, spesso, prima scontano l’entusiasmo sulle voci, poi cominciano a mettere nei conti anche il rischio sull’operazione, che in questo caso ha costi certi, ed elevati, e guadagni magari ancor più elevati, ma incerti.
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