Le borse europee ieri, dopo un inizio di seduta guardingo, hanno finalmente impostato un tentativo di rimbalzo abbastanza convinto, che ha interrotto una serie ormai piuttosto lunga di sedute ribassiste (ben 6 delle precedenti 7 per Eurostoxx50 e 9 su 10 per il tedesco Dax).
Il recupero è stato assai parziale rispetto al terreno perso in precedenza. Se guardiamo Eurostoxx50, risalire di 91 punti dai minimi di martedì, dopo averne persi 324 dai massimi del 23 gennaio, non è ancora un segno di ritorno in salute. Consente però di uscire dal pesante ipervenduto che accusava l’indice sui principali indicatori di eccesso. Molto meglio ha fatto l’indice italiano Ftse-Mib, sia perché dai massimi del 23.1 aveva perso meno, ma anche perché ieri è rimbalzato di +2,86%, molto di più della media europea ed è figurato in cima alla classifica delle performance continentali di giornata.
A favorire lo slancio della borsa italiana è stata nuovamente la galassia Agnelli, sempre ben presente da tempo nei sogni rialzisti degli investitori e la new entry Telecom, che vediamo raramente in cima alle performance dei 40 principali titoli. Ma tutto il listino è stato trascinato al recupero da un entusiasmo che da tempo vediamo nei confronti del listino italiano, alla faccia di tutte le turbative che ci hanno annunciato a causa della campagna elettorale. In realtà i mercati sembrano assolutamente rilassati nei confronti del rischio-Italia, e questo si vede anche nella misurazione dello spread tra BTP e Bund, che, anziché schizzare ai massimi, come tradizionalmente fa quando ci sono periodi di forte turbolenza, in questi giorni prosegue il suo calo e ieri ha raggiunto quota 120, approfittando anche del rialzo dei tassi tedeschi. Su questo andamento dei rendimenti paiono incidere due fattori. Il primo è la dirittura d’arrivo per la Grosse Koalition in Germania, che vedrà la conferma della Merkel per il suo quarto mandato da Cancelliera, ma, ecco la sorpresa, affiderà ai socialdemocratici i ministeri chiave degli Esteri e delle Finanze, cioè quelli più interessati ai rapporti con l’UE. Il fatto che al posto del cerbero Schaeuble ci sia un socialdemocratico lascia intendere che l’austerità subirà un inevitabile addolcimento, a beneficio dei paesi più deboli, per i quali le concessioni saranno un po’ più probabili. Il secondo fattore è l’aspettativa di un esito innocuo delle elezioni italiane. I mercati annusano l’impossibilità per la coalizione di centro-destra di raggiungere quel 40% necessario per governare grazie al premio di maggioranza. Questo significa Gentiloni forever, o almeno per un altro anno, cioè un bel calcio al barattolo del populismo, che dovrà attendere ancora un bel po’ in anticamera.
Tornando all’azionario, constatiamo che Wall Street, dopo un iniziale tentativo di proseguire il rimbalzo del giorno prima, si è fermata proprio quando hanno chiuso le borse europee ed è tornata indietro, facendo vedere nuovamente il segno meno finale sui tre indici principali (SP500, Dow Jones e Nasdaq100). Il calo finale è stato modesto, ma ha interrotto il rimbalzo già il secondo giorno e lascia pensare che il ritorno ai massimi di gennaio non sarà certo una passeggiata come nelle altre mini-correzioni dell’ultimo anno.
Anzi il segnale è bruttino e rivela che il sentiment degli investitori, che sembrava inossidabile solo una settimana fa, potrebbe aver subito un deterioramento equivalente alla ripresa della percezione del rischio che negli ultimi giorni si è imposta.
Lo testimonia anche il fatto che lo shock degli indici azionari ha risvegliato la voglia di realizzi anche per altri trend che duravano da mesi, come il petrolio, che ieri ha subito un forte scivolone e dai 67 dollari di qualche giorno fa è già sceso di circa l’8%. Anche il cambio EUR/USD sta finalmente correggendo in modo significativo. Ieri è sceso a 1,225 ed ha completato un modello di doppio massimo che dovrebbe farlo scendere almeno di un altro centesimo
Se dovesse proseguire il calo dell’euro, che forse il governo tedesco meno austero del previsto potrebbe favorire, dovrebbero riprendere un po’ di forza relativa gli indici dell’Eurozona rispetto a quelli americani, che da 6 mesi stanno decisamente sovraperformando quelli europei.
E’ appena il caso di ricordare che migliorare la forza relativa non significa che gli indici europei debbano necessariamente salire. Si può sovraperformare anche scendendo di meno degli indici americani.
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