Quando è l’emotività a guidare i comportamenti dei mercati risulta spesso difficile trovare il senso logico di quel che accade. E ciò vale sia quando l’euforia premia in smodatamente le quotazioni, che quando il pessimismo le sciaccia inesorabilmente. E, naturalmente, vale anche quando l’onda apparentemente inarrestabile degli eventi, subisce una battuta d’arresto.
E’ da tempo che sottolineo l’insufficienza di motivi fondamentali che giustificassero gli eccessi che si erano creati sui mercati azionari USA e sul dollaro. Eccessi rialzisti sull’azionario e ribassisti sulla moneta americana. Eccessi, oltretutto, tra loro dissonanti, poiché, se l’economia andasse così bene da essere a motivo del rialzo senza freni degli indici di Wall Street, non si capiva perché sul Forex si stesse facendo a gara a chi scappa prima dal dollaro.
I media ci hanno spiegato che dietro questi paradossi ci sono le mattane di Trump, il tira e molla delle sue esternazioni, un giorno ostili al mondo ed il giorno dopo concilianti.
Forse c’è solo il prevalere dell’emotività sulla razionalità. E questo è proprio uno dei sintomi più eclatanti che viene sempre alla luce nella fase finale di un lungo ciclo rialzista
Venerdì gli indici azionari hanno corso a perdifiato, realizzando l’ennesimo record e portando a livelli mai visti prima l’ipercomprato di breve e di medio periodo misurato dai principali oscillatori grafici. Il dollaro invece ha vissuto la sua ennesima settimana di passione, arrivando giovedì a realizzare il minimo a 88,25 sul Dollar Index e il massimo di 1,2537 per il cambio EUR/USD, durante la conferenza stampa di Draghi.
Tutti i media hanno legato l’euforia dei mercati al comportamento di Trump a Davos, così conciliante da smentire il suo Segretario al Tesoro Mnuchin, che aveva gioito della debolezza del dollaro. I media ostili a Trump hanno sostenuto la tesi che il clima freddo delle nevi svizzere e l’atmosfera ovattata dei big della finanza avevano raffreddato i sui ardori polemici ed erano riusciti ad ammansirlo, fino a fargli offrire addirittura uno spiraglio per ridiscutere il trattato commerciale TPP e persino il trattato di Parigi sul clima, da cui aveva fatto uscire gli USA nei mesi scorsi.
I media favorevoli al magnate hanno ovviamente ribaltato l’interpretazione di Davos, evidenziando che è stato il Presidente USA a farsi amare dagli gnomi della finanza, a cui ha regalato il segreto della felicità economica, invitandoli a fare come sta facendo lui in USA.
Ma è forse l’emotività il principale responsabile di quel che accade ora sui mercati. Quel sentimento che porta a reazioni impulsive senza analisi approfondite. E forse l’emotività ieri, alla ripresa delle ostilità borsistiche dopo il week end, deve aver fatto provare a qualche investitore uno strano senso di vertigine guardando in basso dalle altezze raggiunte dai principali indici azionari, e pian piano, a partire dai mercati asiatici, per poi passare a quelli europei, gli acquisti si sono arrestati e si è imposta la necessità di una pausa di riflessione, in attesa di verificare anche l’umore di Wall Street.
Così anche Wall Street ha liberato prese di beneficio, che hanno respinto leggermente indietro gli indici dai valori di venerdì, senza prima consentire l’ennesimo massimo storico.
L’arretramento non è stato particolarmente evidente, e si è solo leggermente intensificato nella parte finale della seduta, dopo che gli indici europei avevano chiuso con modesti cali. Forse è stato favorito da alcuni rumors che prevedono per Apple, il colosso della borsa USA, che sempre condiziona il resto dell’azionario, una trimestrale per niente entusiasmante e addirittura la riduzione del piano di produzione degli Iphone X a causa delle deludenti vendite. Lo scopriremo giovedì, quando verrà presentata la trimestrale. Il titolo della mela però nelle ultime sedute ha messo una evidentissima retromarcia e proprio ieri ha girato al negativo il suo andamento di gennaio. Se lo confrontiamo con il +9,25% da inizio anno dell’indice Nasdaq100, risulta chiaro che a Cupertino hanno qualche problema.
La frenata dell’azionario trova la sua correlazione con il modesto, ma chiaro, recupero del dollaro, che ieri ha pian piano risalito un po’ di china sul Dollar Index, riportandosi sopra quota 89, mentre EUR/USD è retrocesso ben sotto quota 1,24.
Possiamo parlare di inversione di tendenza? Certamente non ancora, e forse nemmeno di correzione. E’ stata fatta talmente tanta strada negli ultimi mesi che un piccolo stop non cambia assolutamente l’impostazione dei mercati. Ne riduce semplicemente un po’ l’euforia.
Ma quel che risulta più interessante, ben al di là del piccolo calo degli indici, è il significativo recupero della percezione del rischio. Ce lo mostra l’indice Vix, che misura la volatilità implicita che i market maker si fanno pagare per vendere opzioni sull’indice SP500, e che molti chiamano ancora l’indice della paura, anche se da tempo, a causa dei valori irrisori raggiunti e mantenuti con costanza, avrebbe forse più senso chiamare Indice della Tranquillità.
Questo indice ha fatto vedere un modesto recupero già nel corso del mese di gennaio, risalendo dai minimi sotto quota 9 di inizio anno, fino a quota 11 di venerdì scorso. Ma ieri si è letteralmente impennato, recuperando quasi 3 punti in un solo giorno e realizzando il valore di fine seduta (13,84) più alto dal mese di agosto dello scorso anno.
Possibile che un calo di -0,67% dell’indice SP500 possa provocare una tale risalita nella volatilità attesa? Possibile, anche perché prima di liquidare le posizioni molti operatori vanno a coprirle con opzioni. Erano mesi che nessuno, o quasi, sentiva la necessità di farlo. Per questo appena qualcuno si pone il problema il prezzo delle coperture si impenna.
Ma questo significa anche che c’è un potenziale ribassista piuttosto elevato nell’euforia che ha pervaso i mercati a partire dal Ferragosto dello scorso anno. E che forse l’era del rialzo tranquillo, costante e senza pericoli sta volgendo verso il termine. Ora è presto per affermarlo. Tante volte i rialzisti sono riusciti in breve tempo a riprendere in mano la situazione. Forse questa volta dovranno faticare un po’ di più.
Intanto oggi l’apertura europea dovrebbe essere negativa, dato che anche l’Asia ha recepito il segnale correttivo arrivato da Wall Street. Poi sarà come sempre Wall Street a dirci se il suo stomaco è ancora in grado di digerire con disinvoltura le prese di profitto, come è sempre riuscito a fare negli ultimi mesi.
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