Come spesso capita prima di un atteso comunicato della FED, anche ieri quasi tutti i mercati europei sono rimasti per l’intera seduta noiosamente incollati alla parità, in religioso silenzio emotivo. La precisazione “quasi tutti” è doverosa poiché in Spagna i mercati finanziari hanno dovuto prendere atto del bubbone politico, sottovalutato per tanto tempo, che sta scoppiando fragorosamente e potrebbe portare a travagliate e forse dolorose conseguenze per l’unità nazionale iberica, con impatti anche sui destini della stessa Unione Europea. Il nodo della secessione catalana, anziché sciogliersi pacificamente, ha visto ieri una prova di forza del governo di Madrid, che ha mandato la Guardia Civil a Barcellona a sequestrare 10 milioni di schede elettorali per il referendum che dovrebbe svolgersi il 1 ottobre e sancire la secessione della ricca regione dal resto del paese. Ha anche arrestato 14 funzionari del governo regionale, dichiarando così guerra ai secessionisti. I mercati finanziari spagnoli hanno accusato il colpo, perdendo quasi un punto percentuale sull’azionario, mentre lo spread Bonos-Bund è risalito di 4 punti base.
A parte la Spagna, tutto il resto dei mercati finanziari occidentali, compresi gli indici americani, si sono trascinati stancamente fino alle ore 20 in attesa che la FED rivelasse le sue decisioni circa il percorso futuro verso la normalizzazione monetaria.
I mercati si attendevano una corposa riduzione delle aspettative della banca centrale americana su crescita ed inflazione, che sancisse anche un rallentamento nel percorso di restringimento delle condizioni monetarie, e magari il rinvio del programmato rialzo dei tassi entro la fine dell’anno.
Invece la FED ha voluto inviare un messaggio di fermezza e la solitamente bonaria governatrice Yellen nella conferenza stampa si è espressa con toni piuttosto severi, più da falco che da colomba.
Per riassumere sinteticamente il messaggio della FED, iniziamo dal previsto tapering del bilancio FED. Confermati in pieno le dimensioni della riduzione mensile di titoli in portafoglio (10 miliardi al mese fino a fine anno a partire da ottobre, poi aumento della riduzione di 10 miliardi mensili ad ogni trimestre, fino ad arrivare alla velocità di crociera di 50 miliardi al mese, che poi verrà mantenuta finché il bilancio non tornerà a dimensioni normali. Sul QE, che ora si sta smontando, c’è stata la ferma indicazione che d’ora in poi è definitivamente uscito dal novero degli strumenti utilizzabili in caso di bisogno. Era implicito, ma affermarlo esplicitamente rafforza la severità del messaggio.
Sul percorso futuro di rialzo dei tassi c’era maggior incertezza, dato che molti pensavano ad un possibile rinvio del ritocco previsto per fine anno e ad un allargamento dei tempi per arrivare alla normalità del 3%, finora calendarizzata per fine 2019.
Ebbene, qui la FED ha concesso assai poco. Nulla circa il rialzo entro fine anno, che è stato confermato. Nulla sui rialzi del prossimo anno, anch’essi confermati nel numero di 3. L’unica concessione è stata di ridurre a 2 i rialzi previsti per il 2019, spostando l’arrivo dei tassi al 3% nel 2020.
E’ oggettivamente poco, anche perché Yellen, parlando ai giornalisti, ha reiterato la sua convinzione che l’inflazione si rimetterà a salire verso l’obiettivo del 2% e che la pausa dei prezzi vista in estate è stata momentanea e non strutturale. Anche sulla crescita Yellen non ha dato adito a tentennamenti, e tantomeno sull’occupazione.
Il messaggio complessivo per i mercati sembra perciò essere: barra dritta, nonostante le incertezze, probabilmente moentanee e superabili.
E’ oggettivamente un messaggio diverso da quel che i mercati attendevano ed ha costretto i rendimenti sul decennale USA a salire istantaneamente di 5 punti base, incorporando maggiori probabilità di rialzo a breve dei tassi. Come da manuale, il confermato rialzo dei tassi ha regalato un mini-rally al dollaro, con il Dollar Index schizzato in pochi minuti da 91,33 a 92,49 e il cambio EUR/USD bruscamente sceso da 1,2024 a 1,1862.
L’azionario è stato più incerto. Ha perso un po’ di terreno nell’immediato, poi hanno cominciato a tornare i compratori, che evidentemente considerano la fermezza della FED come una garanzia sulla solidità della crescita. Pertanto l’indice SP500 ha recuperato nell’ultima ora tutto il terreno perduto ed è addirittura riuscito a ritoccare di poco il suo massimo storico, dopo soli due giorni dal precedente record. Anche il Vix ha confermato il permanere della confidenza degli investitori, chiudendo la giornata ben sotto il valore 10.
Oggi anche le borse europee dovrebbero beneficiare, almeno all’inizio di seduta, del calo dell’Euro e del favorevole influsso proveniente dal lieto fine della seduta americana di ieri. Gli obiettivi rialzisti indicati nei giorni scorsi potrebbero essere ulteriormente avvicinati, e magari anche raggiunti e superati, se la fiducia si trasformerà in euforia.
Li ricordo rapidamente. L’obiettivo di Eurostoxx50 è posto a 3.539 e, se superato, la strada pare aperta verso 3.600. Il Dax tedesco può arrivare a 12.676, dopo di che si punta al massimo storico di 12.951.
Il nostro Ftse-Mib, che ieri ha risentito un po’ della debolezza del settore bancario, ha un traguardo a 22.870, oltre il quale potrebbe poi volare fino a quota 24.000. Ma forse è meglio non mettere troppo il carro davanti ai buoi.
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