La lezione sintetica che si trae dall’evento clou di ieri, la comunicazione ufficiale e la Conferenza Stampa illustrativa delle decisioni della riunione mensile del Direttorio BCE, è che Draghi ha perso molta della credibilità che i mercati gli attribuivano e sembra annaspare tra molteplici esigenze: rivendicare i successi della politica monetaria europea anche dove non ci sono; nascondere la battaglia in seno al Consiglio tra i falchi, che vogliono la fine del QE e le colombe che lo vorrebbero prolungare e potenziare ancora; difendere l’eurozona dalla forza della sua moneta; nascondere le difficoltà a continuare l’accomodamento con gli strumenti usati finora, che diventano sempre meno efficaci e pieni di effetti collaterali.
La retorica che una volta entusiasmava i mercati e li faceva brindare ad ogni sua proposta di misure accondiscendenti sembra proprio aver perso efficacia e viene considerata credibile poco più della cantilena dell’ubriaco che urla alla luna.
Lui si è sforzato nuovamente, come ai bei tempi, per convincere i mercati che stavano sopravvalutando l’euro, facendo reinserire nel comunicato ufficiale, che ha lasciato tutto invariato e rinviato all’autunno le decisioni sul QE, quella frase perentoria sulla necessità di una politica monetaria ancora accomodante, e sul QE che potrebbe addirittura essere potenziato nei tempi e nella portata, se sarà necessario. E’ quell’affermazione che fino a pochi mesi fa rassicurava le borse, dimostrava la saldezza del controllo di SuperMario sul Board della BCE ed il dominio delle colombe, che teneva l’euro schiacciato non troppo lontano dalla parità nei confronti del dollaro, forte delle manie di grandezza di Trump. La frase fu rimossa nei primi mesi di quest’anno, dopo che l’inflazione ebbe una fiammata fino al 2% e fu il segnale che il QE si dirigeva al capolinea situato a fine anno e da lì avrebbe cominciato l’atterraggio fino all’annullamento degli acquisti di titoli di stato.
Ora, a prima vista, l’aver reinserito quella frase avrebbe dovuto galvanizzare le borse e mettere il sale sulla coda alla forza dell’euro, riportandolo a più miti consigli. Questa almeno era la speranza di Draghi.
Invece è successo esattamente l’opposto. Dopo il comunicato e le parole di Draghi, che intendevano mostrare il controllo della situazione e la volontà di dominare l’euro, mentre il suo linguaggio non verbale mostrava impaccio ed incertezze, i mercati hanno fatto esattamente il contrario, spingendo il cambio EUR/USD ai livelli record dell’anno a 1,206, già raggiunti il 29 agosto scorso.
L’azionario europeo ha ripiegato dai fiduciosi massimi raggiunti all’ora di pranzo, ed ha chiuso in rialzo tutt’altro che eclatante, mentre il nostro Ftse-Mib, carico di bancari penalizzati dai tassi a zero per chissà quanto altro tempo, è stato il peggior indice d’Europa con un risultato giornaliero di -0,42%.
L’obbligazionario europeo ha continuato a ridimensionare i rendimenti, rivelandosi l’unico mercato che ha creduto pienamente alla politica accomodante prorogata da Draghi.
Proviamo a motivare il perché del flop comunicativo di Draghi.
A mio parere il mercato pare prendere coscienza che questa politica monetaria accondiscendente comincia ad avere più controindicazioni che benefici.
La BCE ha rivisto al rialzo le stime del PIL europeo per quest’anno, portandole dal +1,9% previsto a giugno al +2,2% comunicato ieri. Se avrà ragione la crescita europea sarà superiore a quella americana, peraltro colpita in misura che ora è impossibile stimare, ma certo non indifferente, dalle conseguenze degli uragani, che quest’anno sembrano particolarmente aggressivi ed hanno già paralizzato l’economia del Texas, uno stato chiave per il PIL americano. E siamo solo all’inizio della stagione degli uragani.
Già questo dato contribuisce a rafforzare l’euro, non ad indebolirlo come vorrebbe Draghi.
Ma la BCE ha anche abbassato le stime sull’inflazione di quest’anno e dei prossimi. Per il 2017 la previsione è per un tasso medio di 1,5% e il prossimo anno addirittura scendere a 1,2%.
E’ questa inflazione che ostinatamente non si rialza a spingere Draghi ad insistere ancora sull’accomodamento monetario, dato che l’obiettivo del 2% stabilmente acquisito è lontano e si allontana.
Ma, parliamoci chiaro. Tutto l’ambaradan delle misure monetarie, anche se Draghi ora si attribuisce il merito della crescita europea, fu attuato per raggiungere l’obiettivo i portare l’inflazione al +2% annuo.
Ora, nonostante 2.000 miliardi di euro aggiuntivi stampati in 2 anni e mezzo di QE, i tassi a zero da oltre 3 anni e i tassi negativi a -0,4% sui depositi delle banche presso la BCE, ci ritroviamo con l’inflazione lontana dall’obiettivo ed in calo.
Questo significa fallimento degli obiettivi della politica monetaria attuata finora.
In compenso gli effetti collaterali, come nelle chemioterapie che non funzionano, stanno creando problemi sempre più forti.
Di quello pratico rappresentato dalla scarsità di titoli di stato comprabili dalla BCE sul mercato ho già accennato nel commento di ieri. Ma non è l’unico.
I tassi a zero creano problemi di redditività e di sostenibilità sempre più imponenti al sistema bancario europeo, che si presenta molto fragile di fronte all’eventualità di inversione ciclica della congiuntura economica, che, se arrivasse negli USA, contagerebbe molto presto anche l’Europa, come abbiamo visto nel 2008.
In questo malaugurato caso che cosa quali sarebbero le armi a disposizione della BCE per fronteggiare un’eventuale recessione? Nessuna, perché ha esaurito le possibilità di taglio dei tassi e anche il QE non può essere seriamente potenziato per mancanza di titoli. Verrebbe forse esteso anche alle azioni?
Ecco perché i mercati cominciano a percepire che qualcosa non quadra e ad nutrire dubbi che questa chemioterapia monetaria non potrà essere portata avanti ancora a lungo per non uccidere il paziente. Oppure, se si preferisce un’altra metafora, i mercati, come i passeggeri di un pullman che continua a sbagliare strada, cominciano a diffidare dell’autista, anche se questi si affanna a ripetere che la situazione è sotto controllo.
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