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Piu' che a Trump si guarda alle Streghe
16/06/2017 08:37

Ieri poteva essere una giornata drammatica, per colpa dello scoop del Washington Post, che ha rivelato che anche lo stesso Trump è indagato per ostacolo alla giustizia nell’ambito delle inchieste sul Russia-gate. In parte lo è anche stata, ma fuori dagli USA. Infatti la mattinata europea ha visto gli indici azionari perdere anche più di un punto percentuale, con cali diffusi a tutti i settori.

Ma il pomeriggio, una volta constatato che a Wall Street, dopo una sbandata iniziale, i compratori pian piano si sono rifatti vivi, la situazione è migliorata anche in Europa e le chiusure di giornata sono state ovunque superiori ai minimi. Gli indici americani hanno poi proseguito il recupero anche a mercati europei chiusi ed hanno concluso in modo quasi indolore. Segnalo solo una maggior difficoltà per il settore tecnologico. Il Nasdaq100, che rappresenta le 100 principali società del settore che ha trascinato le borse azionarie americane a conseguire tutti i record degli ultimi anni, ha iniziato la giornata piuttosto di cattivo umore perdendo circa il 2%, con vendite cospicue su tutti i big dell’high tech. E’ andato nuovamente a testare il minimo di 5.633 realizzato lunedì 12 giugno, da cui era partito il rimbalzo dei giorni precedenti. Ma anche stavolta, arrivato a 5.634, i compratori si sono ripresentati ed hanno realizzato un recupero di circa 70 punti, limitando così ad un ben più gestibile -0,46% la perdita della giornata.

La tranquillità della risposta americana alla notizia su Trump, oggettivamente non positiva, può essere forse motivata da due fattori, che hanno contribuito al mantenimento dei nervi saldi. Il primo è il fatto che la FED, il giorno prima, aveva lanciato un messaggio rassicurante sulla crescita USA, confermando le sue previsioni di rafforzamento ed attribuendo a casualità la debolezza che si è misurata nella prima parte dell’anno. Anche la conferma del piano di rialzo dei tassi molto graduale, che prevede di arrivare al 3% solo a fine 2019, deve aver fatto la sua parte nel tranquillizzare il mercato, come pure deve essere stato apprezzata la novità dell’annuncio delle regole che verranno seguite per ridurre la montagna di titoli obbligazionari presenti nel portafoglio della FED, accumulati negli anni scorsi con i pesanti interventi di QE. Su questo tema non è stato annunciato nessun obiettivo preciso da raggiungere. Yellen si è limitata ad affermare che, al termine del processo, il portafoglio sarà “nettamente inferiore” all’attuale (4.500 miliardi) ma non ha indicato livelli obiettivo precisi. Proverei a fare una stima di buon senso. Dato che l’ammontare prima della crisi, perciò in un momento di “normalità”, era 800 miliardi, e nel frattempo un po’ di crescita del PIL nominale c’è stata, potrebbe essere ipotizzabile un livello normale intorno ai 1.500 miliardi. In questo caso occorrerebbe spianare i due terzi della montagna obbligazionaria. La portata della riduzione necessaria aveva creato un po’ d’ansia nei mercati, che temevano un ritmo di riduzione troppo rapido, che avrebbe esposto i rendimenti alla pressione di enormi quantità di titoli in vendita sui mercati obbligazionari. Insomma, se il processo di acquisto ha provocato lo schiacciamento dei rendimenti verso lo zero, il processo inverso, se attuato rapidamente, avrebbe provocato pressioni significative al rialzo nei tassi di mercato. La FED ha però dichiarato che nessun titolo sarà venduto sul mercato, ma si attuerà la riduzione solo attraverso il mancato reinvestimento delle somme incassate al momento della scadenza dei vari titoli. Ha inoltre fissato un tetto di riduzione mensile, che all’inizio sarà di soli 10 miliardi di dollari al mese per poi poter salire fino ad un massimo di 50 miliardi mensili.

Un processo di smaltimento di questa portata fa un po’ ridere, perché assomiglia all’intenzione di  prosciugare un lago con un cucchiaio, richiedendo tempi lunghissimi. Ma è quel che piace ai mercati, che non verranno certo disturbati dal mancato reinvestimento di 10 miliardi di bond al mese.

Rilevo anche che, come il QE della FED è stato di esempio per Draghi e la BCE, anche il piano di riduzione dell’attivo di bilancio FED sarà il benchmark per l’analogo smantellamento che la BCE dovrà anch’essa attuare, a partire da un non ancora precisato momento del 2018. E se i più spavaldi americani lo fanno timidamente, figuriamoci che cosa proporrà Draghi, già di per sé molto più accomodante della Yellen.

Perciò ieri sia i mercati obbligazionari che l’euro hanno certo dovuto prendere atto del rialzo dei tassi USA, che non potevano ignorare. I primi sono scesi un po’, rialzando leggermente i rendimenti, mentre l’euro ha abbandonato 1,12 contro il dollaro ed è sceso di un gradino. Ma i movimenti sono stati molto contenuti, a sottolineare che tutto il resto del comunicato FED induce alla tranquillità.

Anche le borse azionarie hanno tenuto la barra abbastanza dritta ed hanno mostrato una buona capacità di tenuta dei supporti. E qui deve aver contribuito un secondo fattore, specifico per l’azionario: le scadenze tecniche di oggi. Ieri era infatti in tutto il mondo l’ultimo giorno prima della scadenza dei contratti futures e d’opzione su indici ed azioni. Gli istituzionali, che sono prevalentemente venditori di opzioni, massimizzano i loro proventi se la volatilità è bassa e molte opzioni vanno a scadere Out of the Money (cioè, per i non addetti ai lavori, con la quotazione del sottostante che non ha raggiunto il prezzo d’esercizio). La stabilità dei prezzi li avvantaggia ed in prossimità della scadenza è per loro conveniente pilotare i prezzi in modo da contenere i movimenti. Fino ad oggi questo potente freno alla volatilità ha probabilmente contribuito alla stabilità del mercato, che negli ultimi giorni è sempre riuscito a rintuzzare gli sfoghi di volatilità. Oggi è il giorno delle 4 streghe e la scadenza dei contratti di giugno libererà il mercato da questo guinzaglio degli istituzionali. La musica potrebbe cambiare.

Perciò non darei nulla per scontato. Non dimentichiamo che la stagionalità nei mesi estivi è poco favorevole all’azionario. E che Trump è in equilibrio sempre più precario.

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