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Le litigate di Trump ingessano i mercati
03/02/2017 08:36

Dopo un giorno di relativa calma, ieri Trump ha ripreso a litigare col mondo. Le minacce del giorno hanno riguardato innanzitutto l’Iran, dopo il test missilistico attuato dagli iraniani come ritorsione all’inclusione del paese nell’elenco dei sette stati terroristi. Pare che sia in preparazione un ordine esecutivo per attivare sanzioni. Ma anche il Messico, che è stato accusato di non fare abbastanza per fermare quelli che ha chiamato “bad hombres” che vogliono passare il confine. Ma l’ostilità di Trump ha colpito anche due alleati storici: l’Australia, a cui ha staccato il telefono in faccia al premier che pretendeva dagli USA il rispetto dell’accordo sulla distribuzione dei rifugiati musulmani sottoscritto da Obama all’ONU, e persino Israele, invitato a cessare gli insediamenti di coloni in territorio palestinese. Intanto nelle università americane sale il livello della protesta studentesca contro il Presidente ed a Berkeley ci sono stati scontri violenti.

Ma il rumor che riguarda l’economia è la preparazione di un nuovo ordine esecutivo per limitare non solo l’ingresso dai sette stati, ma anche quello dei cervelli stranieri, che sono stati il carburante senza il quale non si sarebbe visto lo sviluppo del settore tecnologico ed il dominio economico delle imprese americane nel mondo. Se diventerà realtà avremo un’ulteriore conferma della sua volontà, assurda ed antistorica, di stimolare la crescita col protezionismo.

I mercati assistono ingessati alle performance quotidiane di mister miliardo. Non capiscono dove porterà questo “nuovo” modo di fare politica estera e di gestire la crescita economica. Nel dubbio fanno passare il tempo immobili in attesa che la prossima idea del magnate chiarisca lo scenario, confuso dalle precedenti idee.

L’immobilismo ha contagiato ieri anche l’Europa, dove i movimenti degli indici sono stati abbastanza contenuti, se facciamo eccezione per quello nostrano, che aveva molta sottoperformance passata da recuperare e ieri l’ha fatto almeno in parte. Il Ftse-Mib, approfittando della tranquillità con cui gli investitori hanno accolto le condizioni dell’aumento di capitale Unicredit, è riuscito a mantenersi in positivo per tutta la giornata, chiudendo a 18.889 (+0,79%) una giornata che nel primissimo pomeriggio lo aveva visto anche mettere il naso sopra i 19.000 punti. La seconda seduta consecutiva di rimbalzo, dopo la forte scivolata dei giorni precedenti, non è ancora tale da mutare il quadro di riferimento, ma aiuta ad inquadrarlo meglio.

Ricordiamo brevemente le vicissitudini del nostro indice. L’incertezza direzionale subita dopo il massimo relativo del 3 gennaio a 19.810 ha provocato un primo movimento discendente fino al supporto di 19.090 (12 gennaio) da cui è partito il recupero che il 26 gennaio ha riportato l’indice a 19.785 ed a tentare l’attacco al massimo del 3 gennaio. Ma il tentativo di breakout rialzista, che avrebbe proiettato il nostro indice verso traguardi molto ambiziosi, verso quota 23.500, fallì.

Ne nacque una precipitosa retromarcia ribassista, alimentata dalla perentoria lettera di warning della Commissione UE che chiedeva una manovra correttiva da 4,3 miliardi di euro entro il giorno 1 febbraio, adombrando implicitamente la minaccia dell’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo a carico del nostro paese, che avrebbe comportato una sorta di commissariamento per il nostro ministero dell’economia.

Il tentennamento del nostro governo, che è stato spinto da Renzi a non adempiere all’invito di Bruxelles ma a prendere tempo con una lettera di risposta vaga e senza dettagli, ha spinto gli investitori a ritirare un po’ di capitali dal nostro paese e ciò ha portato lo spread BTP-Bund a superare i 180 punti base, i rendimenti sul decennale a superare il 2,30% e l’indice azionario a rompere il supporto di 19.090, completando così una figura di inversione ribassista (doppio massimo) che ha l’obiettivo di correggere almeno una parte significativa del movimento impulsivo rialzista partito a fine novembre 2016 e culminato, appunto, col massimo del 3 gennaio.

Il primo obiettivo del ribasso (area 18.400) è stato quasi raggiunto dalla serie nera delle ultime 4 sedute di gennaio (18.524 è il minimo del 31 gennaio). Febbraio ha però registrato due sedute di rimbalzo che hanno effettuato un ritorno verso quel livello di 19.090 che prima rappresentava il supporto e dopo lo sfondamento è diventato resistenza. Non è un caso, a mio parere, che il massimo di ieri si sia fermato a 19.053, appena pochi punti da questo livello chiave.

Pertanto il fatto che ieri il mercato non sia riuscito a negare la rottura ribassista non ci permette di essere molto ottimisti e ci obbliga a catalogare questo movimento di rimbalzo come un semplice pullback. Ovviamente la prova contraria sarebbe fornita da una prosecuzione del rimbalzo anche oggi, in grado di sfondare in modo significativo i 19.090 e soprattutto di chiudere la seduta al di sopra.

Altrimenti è ipotizzabile che i venditori riprendano in mano il controllo del mercato e producano un nuovo calo, magari fino al secondo obiettivo ribassista, che è in area 18.000.

Conterà molto come il mercato interpreterà il tentativo che ieri Padoan, preoccupato di ricevere la procedura di infrazione, ha attuato per ammansire la Commissione Europea, piegando almeno in parte il capo e promettendo che i dettagli della manovra per rispettare la richiesta europea arriveranno in aprile prima del DEF. Vedremo oggi se la Commissione UE si accontenterà nel mezzo rientro nei ranghi oppure vorrà bacchettare lo stesso l’Italia.

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