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Occhi su Unicredit
02/02/2017 08:37

Ieri Trump ha riposato la sua mano firmante e, per un giorno, ci ha privati delle quotidiane novità che scombussolano le regole finora considerate normali. Riposandosi l’undicesimo giorno del suo mandato ha così dimostrato la sua grandezza, battendo di ben 4 giorni persino il biblico Creatore nello sforzo di edificazione del suo universo.

La momentanea pausa della pannocchia firmante ha ceduto la scena alla FED, che ieri ha tenuto una riunione di basso profilo, dopo aver già alzato i tassi nel precedente FOMC del 14 dicembre. Anche il comunicato finale ha fornito ben pochi elementi interpretativi sulle mosse future ad un mercato che deve accontentarsi dell’affermazione che occupazione e prezzi stanno procedendo verso gli obiettivi di normalizzazione perseguiti dalla Banca Centrale. Anzi, il tasso di disoccupazione li ha già raggiunti e l’inflazione li raggiungerà “nel medio termine”. Ma per ora non ci sono motivi per modificare la gradualità degli aumenti del costo del denaro, che probabilmente “rimarranno, per un po’ di tempo, inferiori ai livelli che ci si aspetta prevalgano nel lungo termine”. Il che significa che la direzione è segnata (rialzo) ma la fretta è ancora bandita, in attesa che Trump espliciti la sua distruzione creatrice anche in campo economico, dopo averla attuata, nei primi 10 giorni di regno, nel campo dei diritti civili, della sicurezza e della politica estera.

I mercati, che sono giunti all’appuntamento FED sostenuti da dati macroeconomici piuttosto positivi (Stima ADP sulla creazione mensile di posti di lavoro privati e indice ISM manifatturiero, ampiamente superiori alle attese, soprattutto il primo dato), non hanno avuto particolari emozioni dal comunicato FED ed hanno chiuso in sostanziale pareggio, mentre quelli europei, che avevano mostrato i muscoli per gran parte della seduta, hanno dimezzato i guadagni rispetto ai massimi, provvisoriamente raggiunti proprio quando ha aperto Wall Street. La seduta europea ha comunque recuperato quasi completamente le perdite del giorno prima e presenta una momentanea pausa nella correzione intrapresa, mentre gli indici USA si mantengono neutrali e privi al momento di direzionalità, dopo aver sgonfiato l’impulso rialzista fornito a metà della scorsa settimana. Il nostro Ftse-Mib si è comportato in linea con le altre piazze europee (+0,81%), trainato dai recuperi del settore bancario e soprattutto di Unicredit, che ha festeggiato in anticipo le decisioni sull’aumento di capitale comunicate poi a borsa chiusa dal CDA. Il rialzo non deve impressionare troppo, poiché verosimilmente è opera del sostegno delle truppe cammellate che appoggiano il management, rappresentate dal nutrito consorzio di garanzia e dagli altri “amici” della banca, che sono probabilmente intervenuti in modo cospicuo per manipolare al rialzo il prezzo del titolo. Ieri infatti era l’ultimo giorno utile per incidere sulla capitalizzazione di mercato della banca prima che questa diventasse la base su cui il CDA ha determinato il valore delle nuove azioni che saranno offerte ed il rapporto di emissione. Una quotazione più alta pre-aumento consente al CDA di alzare un po’ il prezzo di emissione a parità di sconto concesso sulle azioni nuove.

Ed allora vediamole, queste condizioni, che segnano la strada dell’aumento di capitale, che partirà lunedì 6, con la quotazione del diritto d’opzione fino al 17 febbraio. La sottoscrizione invece dovrà avvenire entro il termine ultimo del 13 febbraio, dopo di che i diritti decadranno. Come ci mostra la tabella riassuntiva, il rapporto di emissione prevede 13 nuove azioni offerte a euro 8,09 ogni 5 diritti consegnati.

 

AUMENTO DI CAPITALE A PAGAMENTO

VALORI DI CONCAMBIO PRE-AUMENTO

VALORE AZIONE EX STACCO DIRITTO OPZIONE

VALORE TEORICO DIRITTO OPZIONE

SPESA PER AZIONE POSSEDUTA IN CASO DI ADESIONE

AZIONI POSSEDUTE

VALORE AZIONI POSSEDUTE

NUOVE AZIONI RICEVUTE

PREZZO AZIONI RICEVUTE

UNICREDIT

5

26,6000

13

8,0900

13,2317

13,3683

21,0340

Lo sconto praticato alla sottoscrizione delle nuove azioni rispetto al valore delle azioni dopo aver staccato il diritto d’opzione (TERP) è del 38% e si pone nella parte alta della forchetta (30 – 40%) prevista dai soliti bene informati e rappresenta il maggior sconto praticato per aumenti di capitale effettuati da banche nel nostro paese. L’ammontare di questo aumento (13 miliardi di euro) del resto è anche il maggiore mai azzardato da una banca italiana.

Sta di fatto che per tutti coloro che non sono azionisti strategici della banca, e sono ben più del 50% del capitale (il puro e semplice “retail”, che significa piccolo risparmiatore è il 29% e due terzi degli investitori istituzionali vengono dagli USA e da Londra, e sono in gran parte fondi Hedge), si pone il problema della convenienza ad aderire.

I valori teorici basati sui prezzi finali di ieri ci dicono che, se l’aumento partisse oggi, la vecchia azione varrebbe 13,23 euro ed il diritto d’opzione 13,37. Chi volesse aderire convertendo tutti i diritti dovrebbe attuare un investimento aggiuntivo sulla società di 21,03 euro per ogni azione oggi posseduta. Significa praticamente quasi raddoppiare l’esposizione su questa banca. Ovviamente, oltre alla possibilità di reperire la somma da investire, occorre valutare la convenienza. Questa dipende dalle prospettive future della banca. Molta pubblicità è stata fatta sul definitivo risanamento che consentirà il piano industriale di cui l’aumento di capitale è parte fondamentale. Ma questo dipende dall’effettiva adesione. E per chi investe dipende anche da quale sarà il prezzo che le azioni della banca avranno alla fine dell’aumento di capitale. Il prezzo alla fine dell’aumento di capitale dipende però da quanto l’azionariato non strategico deciderà di investire. Se molti, spaventati dalla somma da sborsare, decideranno di vendere le azioni prima di lunedì, oppure di vendere i diritti o parte di essi, bisognerà vedere se arriveranno altre mani a raccoglierli ed a che prezzo questo avverrà. Se poi l’aumento non dovesse essere sottoscritto totalmente, come avvenne per Saipem, il consorzio di garanzia dovrà intervenire rilevando i diritti inoptati e smaltirà nei mesi successivi le azioni forzatamente acquisite, tenendo magari fermo il prezzo per mesi, come avvenne per Saipem. Insomma, si tratta di un gigantesco gioco ad incastri, di cui non conosciamo a priori l’esito. Sappiamo solo che ci sono state molte esperienze devastanti in passato, in cui i risparmiatori sono stati falcidiati ed hanno perso fette consistenti del loro patrimonio per inseguire aumenti di capitale bruciati in pochi mesi. Per Unicredit non sarà così?

Probabile, ma non scontato. Anche l’aumento di MPS del 2015 venne presentato come risolutivo. Solitamente tutti gli aumenti di capitale vengono presentati come risolutivi. Altrimenti chi aderisce? A volte lo sono, altre lo sono solo fino a quello successivo.  

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