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La pressione ribassista dovrebbe alleggerirsi
08/01/2016 08:40

somiglianze con quel che si è visto nel mese di agosto dello scorso anno.
Anche stavolta si è creato il classico effetto domino che porta all’avvitamento, ed anche stavolta le autorità cinesi hanno dato l’impressione di dilettantismo ed autoritarismo, come nell’agosto scorso, il che porta ad accentuare la fuga dei capitali e la spirale delle vendite, che si propagano a tutto il resto del mondo grazie agli effetti deflazionistici che il rallentamento cinese distribuisce alle altre economie.
Il meccanismo con cui si sta sviluppando quella che ancora una volta (come ad agosto) i media chiamano “la tempesta perfetta”, è grosso modo il seguente.
Con la fine dell’anno 2015 venivano a scadere alcune norme dirigiste che avevano contribuito a calmare le acque che si erano troppo agitate ad agosto. In particolare scadeva il divieto di vendita delle quote di partecipazione superiori al 5% ed il blocco delle IPO. Entrava poi in vigore una nuova norma per evitare le oscillazioni troppo forti delle borse: il circuit breaker, cioè la sospensione automatica delle contrattazioni per eccesso di volatilità, un meccanismo presente in tutte le normali borse. L’applicazione cinese prevedeva lo stop agli scambi per 15 minuti quando la volatilità supera il 5% e la chiusura anticipata della seduta quando supera il 7%.
Le autorità volevano in questo modo dare al mondo l’impressione di un ritorno alla normalità.
Sennonché  la situazione economica cinese non è affatto tornata alla normalità ed i buoi, appena si sono allentate le corde dirigiste, sono di nuovo scappati.
E’ bastato che, lunedì scorso, l’indice PMI manifatturiero portasse l’ennesima delusione, scendendo oltre le attese ed attestandosi in territorio di contrazione per il decimo mese consecutivo, imitato poi mercoledì anche dal crollo di quello relativo ai servizi, scivolato al confine che separa attese di crescita da quelle di rallentamento. Le vendite sono tornate impetuose ed il circuit breaker ha accentuato e velocizzato la caduta del mercato. Se infatti a -7% si resta col cerino in mano e non si riesce più a vendere, molti operatori, sia lunedì che ieri, hanno accelerato la liquidazione delle posizioni, col risultato di raggiungere in fretta la soglia di perdita che ha fatto scattare il “tutti a casa e se ne riparla domani”. Ieri addirittura la seduta è durata meno di mezz’ora.
In tale contesto il sospetto che in Cina si stia verificando nuovamente una impennata nella fuga dei capitali si è fatto strada, anche perché il crollo delle borse azionarie si è accompagnato alla svalutazione della valuta, che le autorità hanno dovuto assecondare per evitare di bruciare troppe riserve. Puntualmente ieri è arrivata ieri la conferma anche di questa supposizione. Le riserve valutarie cinesi infatti, in dicembre, hanno subito un crollo di 108 miliardi di dollari, tornando ai livelli del 2012. Nel corso del 2015 ne sono state bruciate per 513 miliardi, il 13% del totale.
E’ un segno di sfiducia da parte degli investitori stranieri, ma anche da parte dei milioni di nuovi ricchi locali, che cercano altrove il riparo alle proprie fortune accumulate negli splendidi primi 10 anni del nuovo secolo.
La caduta del yuan rispetto al dollaro ed alle altre valute dell’area, ha aggravato la situazione debitoria dei paesi emergenti e i nuovi pesanti segnali di rallentamento economico hanno spinto al ribasso il prezzo del petrolio, che ieri ha toccato nuovi minimi sotto i 33 dollari al barile. La spinta deflazionistica globale ha annichilito anche le borse occidentali, che anche ieri hanno continuato a rotolare. Il Dax tedesco ha rotto con forza quota 10.120, minimo di dicembre, e pare diretto verso il minimo dell’agosto scorso a quota 9.325. L’indice USA SP500 ha rotto il supporto di 1.990 e viaggia anch’esso verso i minimi di agosto, in area 1.870, mentre l’indice della volatilità Vix è tornato a quota 25, sui livelli massimi di dicembre.
Il nostro Ftse-Mib, grazie ai titoli del lusso (chissà poi perché), si è ben comportato, poiché, dopo un’apertura ben inferiore ai minimi di agosto, che faceva pensare ad una capitolazione, nel pomeriggio ha trovato la forza di recuperare molto del terreno perduto e, soprattutto, è riuscito a chiudere al di sopra del supporto di 20.158, che per larga parte della seduta sembrava irrimediabilmente perduto.
Oggi gli indici cinesi hanno tenuto, grazie alle autorità che sono corse ai ripari, togliendo la regola del circuit breaker e rimettendo una sorta di limitazione alle vendite delle quote di controllo delle società quotate (si può vendere al massimo l’1% della quota a trimestre). Il Yuan, dopo 8 giorni di calo, si è lievemente rivalutato e l’indice di Shanghai ha recuperato quasi due punti percentuali.
Se consideriamo che il petrolio, dopo il minimo di ieri, ha provato ad imbastire un po’ di rimbalzo, possiamo ipotizzare che la seduta odierna abbassi la pressione delle vendite per gli indici europei ed  americani, che potranno probabilmente chiudere la settimana con qualche recupero. Attenzione. I recuperi dovranno essere interpretati come la classica rondine che non fa primavera. Ma almeno allontaneranno un po’ l’ansia e forniranno ossigeno ai mercati, che dall’inizio dell’anno ne hanno avuto assai poco.

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