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Dal petrolio dipendono le sorti dei mercati
15/12/2015 08:40

La fase di forte calo dei mercati azionari e di quelli obbligazionari del comparto corporate e specialmente del sottocomparto high yield ha vissuto ieri l’ennesima accelerazione quando in mattinata il prezzo del petrolio ha sfondato anche quota 35 dollari ed è atterrato fino a 34,65 dollari al barile, un valore che per ritrovare occorre tornare indietro fino al 13 febbraio 2009, il giorno in cui il mercato svoltò dopo aver fatto segnare il minimo della grande recessione a 33,55 dollari.
E’ impressionante la discesa del prezzo del greggio nelle ultime 7 sedute, cioè da quando l’OPEC ha deluso i mercati ancor più di Draghi, varando, anziché un taglio alla produzione, addirittura un’estensione. Dai massimi di quel giorno a 42 dollari netti, il petrolio, dopo aver travolto come un fuscello il precedente minimo annuale di 37,75, segnato ad agosto, è arrivato a perdere, sui minimi di ieri mattina, il -17,5%.
Questo crollo ha ovviamente portato alle stelle il rendimento medio dei Bond corporate high yield del settore energia americani, che ora rendono il 15,1%, e l’intero comparto dei corporate bond americani, di cui gli energetici sono una parte significativa. L’indice Bloomberg USD High Yield Corporate Bond èarrivato a segnare ieri il 9,22% di rendimento medio a scadenza.
A preoccupare non è solo il comparto energetico, perché tutte le materie prime continuano a segnare il passo. L’indice CRB che comprende un paniere delle principali commodity, continua da giorni a registrare record storici sempre più bassi. E che il commercio mondiale sia in forte sofferenza si incarica di segnalarlo il Baltic Dry Index, che è tornato, dopo un breve rimbalzino, ad accarezzare il suo minimo storico di quota 498.
In questo contesto è evidente che chi è investito pesantemente sente bruciare in mano i suoi titoli e si precipita a disfarsene. Ieri gli indici europei, dopo un breve tentativo di rimbalzo mattutino, si sono nuovamente girati pesantemente al ribasso, anche grazie ad un’apertura molto debole da parte di Wall Street. Il nostro Ftse-Mib ha raggiunto il suo obiettivo ribassista di area 20.500 ed ora deve sperare che i minimi di agosto (20.158) e di settembre (20.476) ne contengano la caduta.
Il Dax ha portato al 61,8% la correzione del movimento di rimbalzo autunnale ed ora non può più permettersi di scendere, se vuole evitare di atterrare nuovamente sui minimi di settembre.
L’indice USA SP500 è sceso fino all’area 1.995, quel livello che ad agosto e settembre aveva fatto più volte da resistenza al rimbalzo ed era poi stato violato il 7 ottobre. Questa volta quell’area ha fatto da supporto. Infatti, quando i mercati europei erano già chiusi, SP500 ha smesso di scendere ed ha deciso di assecondare il rimbalzo del petrolio, che ne frattempo aveva recuperato i 35 dollari. La seconda parte della seduta americana ha perciò mostrato una faccia ben diversa ed ha consentito all’indice di chiudere addirittura in buon progresso, riconquistando quota 2.020.
Lo spike rialzista di Wall Street, se oggi il petrolio mostrerà di voler estendere il rimbalzo, dovrebbe fornire anche ai mercati europei il pretesto per rimbalzare, dato che i livelli di ipervenduto sugli indici europei sono veramente eccessivi.
Stiamo ovviamente attenti a non scambiare un rimbalzo per una inversione. C’è spazio per un recupero, ma fino a quando non si alleggerirà la pressione deflazionistica del greggio e verranno meno  i timori su sempre più probabili crack finanziari nel settore legato al finanziamento dell’estrazione petrolifera, è ben difficile che il sereno torni sui mercati.

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Pierluigi Gerbino - P. Iva 02806030041
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