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Mercati riallineati in attesa delle Banche Centrali
02/12/2015 08:33

Nel commento di ieri avevo segnalato una notevole ed anomala divergenza di performance tra le borse europee e quelle americane, con le prime decisamente più ottimiste delle seconde.
Il motivo era da ricercare nella divergenza delle politiche monetarie che dovrebbero essere attuate nei prossimi 15 giorni dalle due banche centrali interessate.
La BCE ha infatti promesso una nuova cascata i moneta con l’estensione del QE, mentre la FED ha fatto capire di voler imprimere la svolta alla politica dei tassi a zero fin qui seguita e, con un primo ritocco all’insù, iniziare un graduale processo di ritorno alla normalità monetaria, che prevede che a chi presta soldi venga data una remunerazione.
Ieri però i mercati debbono aver preso atto, di colpo, di aver esagerato. Si è allora materializzato un repentino movimento di correzione dell’errore statistico, generato da prese di profitto sui mercati azionari europei e, in contemporanea, ripresa del rialzo in America, che ha rimesso le cose a posto.
A provocare le prime prese di profitto è stato il dato sul PMI manifatturiero dell’Eurozona e dei principali paesi europei. Questo indice misura il sentiment dei direttori degli acquisti di un campione di grandi imprese e viene considerato un buon anticipatore della congiuntura. In Europa il dato ha mostrato solidità nella ripresa, confermando le stime a livello globale, sulla scorta di andamenti migliori delle attese per Germania e Italia, e lievemente inferiori per la Francia.
Un buon dato anticipatore della congiuntura vien visto come non favorevole a Draghi nella sua opera di stimolatore della preoccupazione degli altri membri del Direttorio BCE per allargare i cordoni monetari. Poi nel pomeriggio a rincarare la dose è arrivato alle 16 il brutto dato dell’analogo indice ISM manifatturiero USA. E’ vero che l’importanza del settore manifatturiero sul PIL USA si sta progressivamente ridimensionando col passare del tempo, ed oggi contribuisce alla formazione del PIL americano per meno del 20%. Molto più significativo sarà il dato ISM servizi, che verrà pubblicato giovedì. Sta di fatto che il dato uscito (48,6) è di molto inferiore alle previsioni degli analisti, che ipotizzavano 50,6, e rivela una visione dei manager assai poco idilliaca per il futuro. Il dato infatti sfonda di brutto il limite di 50, che separa le attese di crescita da quelle di recessione. Per trovare un valore così basso occorre andare a ritroso fino al 2009, in piena recessione.
La reazione a caldo è stata negativa ed ha causato perdite abbastanza visibili sulle chiusure degli indici europei, frenando anche il recupero di quelli americani. Ma nella parte finale della seduta USA si sono imposte interpretazioni ottimistiche, sulla base del ragionamento che queste brutte notizie congiunturali non saranno magari in grado di fermare la mano a Yellen e soci, ma certamente li obbligheranno a spandere rassicurazioni sul fatto che il rialzo non sarà seguito da altri per un bel po’, almeno finché non tornino a manifestarsi segni di rafforzamento del clima economico.
Ed allora via agli acquisti, con l’indice SP500 che ha aggiunto un punto percentuale abbondante al rimbalzo in atto verso i massimi storici, tornando nuovamente sopra quota 2.100.
Insomma, tutto abbastanza logico, sulla base delle novità congiunturali, che ci hanno mostrato che tutto sommato Draghi non ha poi troppo spazio per largheggiare con i regali monetari natalizi, mentre Yellen a sua volta ne ha forse ancora meno per imporre strette monetarie. La scoperta che forse le economie americana ed europea non sono poi così divergenti, bene o male spinge a pensare che non posano esserlo più di tanto neanche le politiche delle Banche Centrali.
O no?

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