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Punirne uno per educarne 100 ?
06/07/2015 10:46

Oggi, alla riapertura dei mercati finanziari, si presentava lo scenario peggiore tra quelli che erano possibili: la vittoria al referendum greco del NO all’accordo coi creditori e la conseguente prima ribellione popolare all’austerità nell’Eurozona.
La vicenda interminabile sembra avviarsi verso il peggiore degli esiti. Se anche Tsipras ha ribadito che ora l’accordo sarà facilitato dall’aumento della sua forza negoziale e Varoufakis, per sgombrare il tavolo da eventuali attriti personali con parecchi rappresentanti dei creditori, si è sacrificato, dimettendosi stamattina da Ministro delle Finanze, i fatti e le dichiarazioni a caldo dei 18 paesi creditori sembrano invece approfondire il solco che separa la Grecia dall’Eurozona e puntanno a  spingere la nave greca verso la porta di uscita del club dell’Euro.
L’abisso del Grexit oggi viene considerato dalle principali banche d’affari, che hanno commentato l’esito del referendum, come l’evento più probabile.
Per salvare la Grecia occorrerebbe innanzitutto che oggi la BCE aumentasse in modo significativo al di sopra dell’attuale tetto di 89 miliardi l’accesso alla liquidità d’emergenza ELA per le banche greche. In mancanza domani non potranno riaprire mentre la liquidità oggi si prosciugherà del tutto.
Poi occorrerebbe un rapidissimo accordo in pochi giorni per un nuovo piano di assistenza che riguardi anche la ristrutturazione del debito e la fornitura di nuovi aiuti per un ammontare di almeno 50 miliardi (secondo la stima del FMI). Questi due argomenti erano fuori discussione la scorsa settimana, quando si discuteva la proroga per qualche mese del vecchio piano ed in ballo c’erano 7,2 miliardi di aiuti da erogare, peraltro già stanziati.
Se è stato bocciato quel piano della scorsa settimana non so immaginare come si possa riuscire in pochi giorni a confezionarne un altro estremamente più ambizioso. Il contesto negoziale si è peraltro assai deteriorato. Ieri molte dichiarazioni di leader tedeschi e dei paesi vassalli sono state molto dure e intransigenti con la Grecia. Dover rimettersi a trattare con gli stessi negoziatori greci, che alzeranno la posta, forti del successo elettorale, non dispone certo gli animi verso la reciproca comprensione.
Il piano inclinato scivola perciò verso la Grexit, che potrebbe essere addirittura già cosa imminente. La serie di riunioni a Bruxelles, con relativo circo mediatico di contorno, inizierà stamattina. La prima riunione sarà alla BCE, che dovrà decidere se allargare il tetto dei finanziamenti in risposta alla richiesta presentata ieri dall’agonizzante Banca Centrale greca. Va precisato che secondo le regole BCE, il collaterale presentato dalle banche greche (titoli di stato ellenici) è già privo dei requisiti di solvibilità, poiché l’emittente è in default tecnico con il FMI e privo di piano europeo di assistenza. Pertanto la BCE dovrebbe abbattere il limite di finanziamento, anziché alzarlo, proprio per scontare la decurtazione di valore del collaterale.
Draghi finora non l’ha fatto, ma dopo il 30 giugno non l’ha più nemmeno alzato, appigliandosi al referendum da cui avrebbe potuto essere recuperato un rapido accordo se Tsipras avesse perso, nonostante che la Bundesbank, a più riprese, gli avesse ricordato l’obbligo statutario. Potrà Draghi assumersi oggi la responsabilità di continuare a violare le regole BCE ed esporsi personalmente all’accusa, se i tedeschi, come è prevedibile, alzeranno nuovamente la voce ?
Una cosa dovrebbe essere chiara (uso il condizionale perché in Europa di certezze non ce ne sono mai): se la BCE oggi non allarga il limite ELA, la Grecia non potrà più caricare i bancomat e le banche non erogheranno più un soldo. Sarà perciò costretta in tutta fretta a stampare moneta alternativa all’euro, una sorta di “pagherò”, se vorrà evitare rivolte popolari e riaprire le banche. Ma questo si chiama Grexit.
Lo scontro in Bce anticiperà perciò l’esito delle riunioni successive e potrebbe addirittura trasformarle in semplici ratifiche di decisioni prese altrove.
Ancora una volta il destino di un paese e di un intero popolo, ma stavolta forse anche il destino dell’intera Europa è nelle mani della BCE, una istituzione al di fuori del circuito democratico, che non risponde al popolo europeo del suo operato, ma a cui è stato delegato di schiacciare i bottoni decisivi in caso di crisi. Ancora una volta i greci e tutti gli europei sono nelle mani curate dei tecnici, che decidono prima e più in fretta dei politici, senza le spiacevoli conseguenze elettorali.
La decisione di Draghi anticiperà l’esito della battaglia tra i tanti falchi e le poche colombe che avrebbe dovuto combattersi nell’eurosummit convocato per domani sera. Se Draghi aumenta la liquidità è segno che la Merkel ha imposto ai rappresentanti tedeschi in BCE di tenere la bocca chiusa e che si prepara a cedere qualcosa pur di mantenere la Grecia nell’Euro. Potrebbero allora ripartire freneticamente le trattative nel disperato tentativo di fare in 10 giorni molta più strada di quanta ne abbiano fatta in 5 mesi.
Se Draghi non si muove o, peggio, decurta il finanziamento per le banche greche, significa che la linea tedesca non cambia ed il destino della Grecia è segnato. Dovrebbe allora partire immediatamente la catena di eventi chiamata Grexit ed abbattersi anche sui mercati finanziari dei paesi periferici.
Quante possibilità esistono che la BCE allarghi il limite? Razionalmente poche. La vicenda greca è stata spinta troppo avanti per poterla recuperare con un accordo che non abbia vincitori e vinti. E’ diventata una battaglia sulla linea del rigore, che per i tedeschi è un dogma intoccabile. Sanno che concessioni alla Grecia nei prossimi mesi farebbero vincere Podemos in Spagna, Lega e 5Stelle in Italia, Lepen in Francia. L’imperativo “punirne uno per educarne 100” pare più che mai attuale.
Però la politica europeanci ha abituato a giravolte a tempo scaduto, calci al barattolo, toppe peggiori del buco. Anche stavolta nulla è da escludere.

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