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USA-CINA, i due estremi
30/03/2015 09:37

Come facciamo spesso al lunedì, focalizziamo la nostra attenzione su quel che i la situazione in ottica settimanale ci vuole comunicare. Il mercato azionario USA continua a vivere anche la parte finale del primo trimestre 2015 in balia del tormentone sul rialzo dei tassi, che, a settimane alterne e secondo i dati macro che vengono comunicati, sembra a volte più vicino ed a volte più lontano.
Gli investitori, cominciano ad essere molto nervosi, poichè si rendono conto che la botte piena dell’economia non si può avere contemporaneamente alla moglie ubriaca di liquidità monetaria.
Qualcuno comincia a spazientirsi, anche perché la solidità della ripresa, che parrebbe essere acquisita, dopo che venerdì è arrivata l’ufficializzazione del tasso di crescita del PIL al +2,2% annualizzato nell’ultimo trimestre del 2014, non è confrontabile con quella a cui si era abituati negli anni ’90, e nemmeno con il ritmo abituale del primo decennio degli anni 2000. Negli anni ’90 si cresceva ancora a tassi annui superiori al 3% (3,17% la media del decennio, sostanzialmente simile alla media di crescita degli anni ’70 e ’80). Nel primo decennio del 2000 si ebbe già un sostanziale rallentamento al 2,46%, ma sono ancora rose e fiori rispetto alla media di crescita realizzata nei 5 anni dal 2010 ad oggi, che è stata un misero 1,46%.
Stiamo assistendo ad un sostanziale dimezzamento della capacità di crescita nell’economia più dinamica del mondo sviluppato, e tutto ciò nonostante si sia attuato il più grande piano mai realizzato nella storia degli USA di stimoli fiscali (debito/PIL federale oltre il 101%, record assoluto, era al 64% nel 2007) e monetari (tassi sostanzialmente a zero dal 2008 e moltiplicazione per 5 della moneta esistente nel sistema in 6 anni).
Tutto questo dispiegamento bellico per ottenere una crescita inferiore al punto e mezzo negli ultimi 5 anni dimostra senza ombra di dubbio che l’economia USA non è più quella di una volta e che le banche centrali non hanno più strumenti efficaci a disposizione. Ci dice anche che le banche centrali riescono molto bene a stimolare le aspettative e gonfiare i prezzi di borsa, ma non altrettanto a garantire che le aspettative si trasformino in realtà economica. Anzi, possiamo notare che le varie manovre di stimolo monetario tendono a diventare sempre meno efficaci sull’economia reale quando escono troppo dagli argini. Perciò è palpabile l’apprensione per l’avvicinarsi del punto della svolta nella politica monetaria della FED, che potrebbe scatenare un pesante flusso di vendite sull’obbligazionario, l’ulteriore rafforzamento del dollaro e altre difficoltà per i bilanci aziendali, che già hanno mostrato un calo degli utili nell’ultimo trimestre 2014, nonostante l’aumento dei consumi.
Se consideriamo poi che per il primo trimestre 2015, che si chiuderà questa settimana e che dopo Pasqua vedrà l’inizio della stagione delle trimestrali con il battistrada Alcoa, gli analisti stimano un ulteriore calo dei profitti per le aziende quotate USA, compreso tra il -5 e il -6%, comprendiamo bene la sensazione che chi ha investito sull’azionario americano deve provare, assai somigliante al ferro che sta tra l’incudine dei profitti in calo e il martello dei tassi FED che potrebbero presto salire.
Ecco perché in settimana l’indice USA SP500 ha praticamente annullato i progressi di quella passata e torna a scambiare su valori uguali a quelli di inizio d’anno (+0,17%).
Ben diversa è la situazione in Europa, dove il Dax, pur stornando anch’esso dai massimi assoluti, è ancora a +21% da inizio d’anno ed in trend rialzista ancora intatto.
Ancor meglio sta l’indice cinese, che di stornare non ne vuole proprio sapere e, dopo aver realizzato un +52% nel 2014, da inizio anno sale di un altro 16%. Stamane ha ulteriormente incrementato il rialzo, grazie alle attese di misure monetarie espansive da parte della banca centrale cinese.
Tanto per cambiare, anche in Cina è la banca centrali a farla da padrone nel creare aspettative.
Che però, come insegna l’incertezza americana, se non produrranno risultati all’altezza delle attese  speculative, rischiano di creare solo un gigantesco castello di carte, destinato a cadere quando queste politiche verranno rimosse.

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