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In America il rialzo si fa sempre piu' faticoso
25/03/2015 08:48

Dopo qualche giorno di riallineamento dei comportamenti delle borse europee e americane, ieri le due sponde finanziarie dell’Atlantico hanno ricominciato a prendere vie diverse. In Europa, dopo una partenza incerta, l’azionario ha ripreso a salire con convinzione, trascinato ancora dai periferici e dal settore bancario, che continua ad approfittare delle aspettative di alluvione monetaria generata dai rubinetti della BCE e delle banche centrali nazionali europee. Oltre a questa cornice, possiamo notare che anche il quadro finanziario dell’area euro comincia forse a trovare qualche consistente attesa di soluzione dell’emergenza greca. Dopo le quotidiane peregrinazioni che impegnano da giorni Tsipras con i vari boss dell’Eurozona, si fa ormai strada l’inevitabile anticipazione da parte del fondo salva stati ESM di 1,2 miliardi di euro al governo greco, per consentirgli di rimborsare i 450 milioni al FMI che scadono il 9 aprile. A svelenire il clima deve aver contribuito la momentanea rimozione dalle trattative di Varoufakis, abile ad effettuare pungenti analisi, ma dotato di scarse capacità diplomatiche. L’aver elevato il rango della trattativa tra Grecia e Germania al livello di premier (Tsipras al posto del polemico Varoufakis, e Merkel al posto del permaloso falco Schauble), sembra essere bastato a smussare gli angoli e trovare un accordo che sarà ratificato dai valletti della Germania che compongono l’Eurogruppo nei prossimi giorni. Questo è ciò che vedono ormai chiaramente i mercati, che ieri hanno registrato un corposo rimbalzo sulla borsa azionaria di Atene e la diminuzione del rendimento di quasi 3 punti percentuali sul titolo di stato triennale greco.
Perciò tutti gli indici europei hanno chiuso in positivo. Il nostro Ftse-Mib ha ritoccato il precedente massimo dell’anno, portandolo a 23.381, ma anche la borsa spagnola ha brillato, dopo aver già volato lunedì scorso.
Niente da fare invece sulla sponda americana dell’Atlantico. I dati macroeconomici migliori delle attese e specialmente quelli sull’inflazione “core”, che hanno mostrato a febbraio una crescita di +0,2% mese su mese, superiore alle attese di +0,1%, hanno rianimato il dibattito sulla data del rialzo dei tassi americani. Il tormentone sembrava essersi acquietato la scorsa settimana, ma evidentemente in USA i timori sul futuro cominciano a prendere il sopravvento sull’entusiasmo. Il livello dei massimi storici (2.119,5 sull’indice SP500) questa volta comincia a dare l’impressione di essere un ostacolo difficile da superare. L’avvicinamento di lunedì è stato così seguito dal dietrofront di ieri, che ha riportato l’indice USA a 2.091 (-0,61%).
Anche su euro-dollaro e petrolio l’incertezza sta prendendo il sopravvento sulla direzionalità.
La selettività operativa, che ieri ho indicato come un’esigenza, trova conferma.
L’inerzia si sta lentamente smorzando ed ora eventuali sorprese negative vedono i mercati azionari molto più vulnerabili che a febbraio, quando la ciambella di Draghi doveva ancora essere lanciata e tutti potevano fantasticare sulle ”magnifiche sorti e progressive” che attendevano il futuro dei mercati.

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