La Grecia dice Basta
26/01/2015 09:30
I mercati finanziari dell’Eurozona, appena rincuorati dai regali di monetari di Draghi, debbono oggi difendersi dal missile partito dalla Grecia.
Le elezioni hanno dato un esito ben più chiaro delle attese a favore ciel partito di sinistra radicale Syriza, che ha raccolto assai più consensi del previsto e dato quasi 10 punti percentuali di distacco al partito avversario di Samaras. Tuttavia non ha raggiunto per un soffio (149 seggi contro i 151 necessari) e dovrà cercarsi un alleato. Sembra già raggiunto l’accordo (contro natura?) con il partito Grecia indipendente, una compagine di destra che però condivide il no all’austerità gridato dai radicali in campagna elettorale. Potrebbero aggiungersi alla maggioranza anche i comunisti e, più difficilmente, gli europeisti di To Potami.
Poi bisognerà capire quanta determinazione il leader Tsipras, astro nascente nel panorama europeo, avrà nel realizzare il suo progetto, che nella campagna elettorale ha chiaramente esposto: ridiscutere il debito con gli stati e gli enti sovranazionali, tagliandolo in modo cospicuo (tra il 50 e il 70%) e porre fine all’austerità, dando un calcio alle trattative con la Troika. Se Tsipras riuscirà ad andare fino in fondo avremo per la prima volta una significativa opposizione alla politica del rigore finora dominante. Tutta l’Eurozona sarà costretta ad esporsi nel duello che si materializzerà tra il topolino greco e l’elefante tedesco.
Se la Germania vorrà (sempre che riesca a convincere tutti gli altri) portare alle estreme conseguenze l’apologia dell’austerità, ed imporre definitivamente la sua legge in Eurozona, l’accordo con Tsipras verrà giocato così al ribasso da costringerlo a scegliere tra la rottura o l’umiliazione. Nel primo caso andrà in scena il pericoloso esperimento, finora sempre evitato, del default greco con conseguente uscita dall’euro. Se Tsipras alla fine calasse “le brache”, accettando un compromesso umiliante, come ha fatto finora Samaras, andrebbe incontro ad una triste fine politica, simile a quella che ha penosamente vissuto Papandreu. A quel punto in Grecia tornerebbe la Troika e magari alle elezioni successive vincerebbero i nazisti di Alba Dorata.
Se invece la Germania accettasse un accordo onorevole per Tsipras, e quindi vittorioso per i greci, significherebbe la fine dell’ortodossia economica tedesca, simboleggiata dal “rigore” ed un probabile imitazione dell’insubordinazione greca da parte degli altri paesi più indebitati. Non dimentichiamo che in Spagna quest’anno si svolgeranno le elezioni regionali a maggio e quelle politiche a novembre e che “Podemos”, il partito spagnolo degli indignados, gemello di Syriza, sta lievitando alla grande nei sondaggi.
Persino nel nostro paese il “giovane” Renzi, per essere alla moda (non per essere di sinistra, quello non gli importa proprio), dovrà smettere di far la voce grossa coi tedeschi solo su twitter per poi accontentarsi di portare a spasso per Firenze la cara Angela che tra Piazza della Signoria ed il Ponte Vecchio gli ricorda i compiti da fare. Sarà costretto a seguire quello che potrebbe diventare il primo serio progetto di Europa solidale contro il dominio dei diktat tedeschi, se non vorrà che Tsipras quando viene in Italia sia accolto da Salvini.
Insomma. Le elezioni greche potrebbero portare in dote la definitiva resa dei conti europea: o i tedeschi riescono a far diventare tedeschi gli europei ed abbandonano la Grecia al suo destino; oppure accettano di diventare un po’ meno tedeschi per far crescere l’ideale europeista e trasformare l’Europa in una unione politica basata sulla condivisione della crescita e dei debiti. La terza possibilità esiste, oggi più che mai: che finisca l’Euro, e la Germania, con i suoi scudieri nord-europei, vada per la sua strada.
La Germania per ora risponde a muso duro alle richieste di Tsipras. Se dobbiamo giudicare dalle dichiarazioni ufficiali a caldo, sembra proprio che la prima ipotesi, delle tre presentate, sia quella oggi più gettonata. Del resto, che i tedeschi non siano affatto disposti a prendersi i debiti altrui e neppure i rischi, lo abbiamo già visto con la pavida imposizione a Draghi di quel meccanismo perverso per realizzare il QE, secondo il quale ogni banca centrale nazionale si compra i titoli del suo stato e si prende i rischi di insolvenza, mentre le cedole incassate vengono messe in comune. Un fulgido esempio di socializzazione dei profitti e nazionalizzazione delle perdite, che avvantaggia ovviamente proprio i tedeschi, che incassano così parte dei proventi derivanti dall’assunzione di rischio fatta dagli altri.
I mercati finanziari nei giorni scorsi hanno votato acriticamente a favore della manovra BCE e del sostanziale status quo in Grecia.
Oggi il risveglio dopo la notte degli scrutini li costringerà a scontare gli effetti del ciclone Syriza.
A giudicare dalle prime reazioni, molto composte, non sembra che le borse siano ancora pronte ad interrompere la luna di miele con Draghi e tornare a quell’incertezza che abbiamo visto in dicembre e che in gennaio è stata inspiegabilmente rimossa dalla mente degli operatori.
Forse non credono ai loro occhi. O forse pensano che Tsipras, come Renzi, sia un cane che abbaia, ma non morde.
Io prevedo turbolenze, ma per ora sono tra i pochi.