Spoil System
08/10/2013 09:41
Il panorama borsistico mondiale continua ad essere correttivo, con tutti i principali indici mondiali che si allontanano dai massimi di settembre, lentamente e senza drammi, ma in modo abbastanza continuo. Anche ieri un po’ dappertutto si è visto il segno meno al termine di una seduta borsistica senza storia. Soltanto due borse hanno brillato, continuando il recupero dei giorni scorsi, incuranti dei cali intorno a loro: quella italiana e quella greca. Dove l’economia reale sta peggio le borse salgono. E’ un triste paradosso, e non è la prima volta che si vede.
Bisogna allora tentare di spiegare le motivazioni di questa scorribanda.
Da un lato vi è la constatazione generale che tutto il falso melodramma che si sta svolgendo in USA per giungere il più tardi possibile, ma in tempo utile, all’accordo sull’innalzamento del tetto del debito e sulla legge di bilancio, sta oggettivamente favorendo l’investimento nei paesi più rischiosi. Ci sono investitori che si attendono un’ulteriore drammatizzazione della situazione nei prossimi giorni. Altri che temono addirittura che stia diventando rischioso l’investimento negli USA. Altri ancora che alleggeriscono le posizioni in USA paventando un downgrade da parte delle agenzie di rating. Vi è poi la constatazione che in questa situazione di mancanza di liquidità ben difficilmente la FED inizierà il tapering prima di fine anno, continuando così a favorire il carry trade verso i mercati più redditizi. Ecco allora che si spiega in parte il mantenimento dello spread italiano sui minimi e l’acquisto sul nostro mercato azionario dei titoli bancari, che sono quelli che più si avvantaggiano di un abbassamento dello spread.
A spingere le vele della nostra borsa vi è poi la ritrovata “stabilità politica”, da tutti i commentatori rappresentata come una condizione necessaria per il risanamento del nostro paese e l’uscita dalla crisi.
Personalmente credo che la stabilità non sia un valore di per sé, ma solo in quanto possa favorire “buone politiche” per il paese. Le politiche di Letta non sono buone per il paese, ma solo per i poteri forti europei.
Il governo Letta, presentatosi e continuamente autodefinitosi “il governo del Fare”, ha dimostrato con gli scarsissimi fatti concreti realizzati finora, i continui rinvii e la sollecitudine a muoversi soltanto in direzione del mantenimento dei famosi “conti in ordine” (senza neppure riuscirci, come dimostrano i buchi che continuamente vengono a galla), di essere un “governo del Promettere” ed il suo miglior risultato è stato l’annebbiamento della capacità di percepire la realtà da parte degli italiani.
La stabilità politica garantirà per più di un anno (almeno questo è l’obiettivo dichiarato di Letta e Napolitano, su cui il governo ha ricevuto la fiducia al termine della farsesca crisi di governo) il proseguimento di questo tirare a campare, promettendo la ripresa e facendo bene tutti i compiti europei. Per il 2014 arriverà qualche miliardino di sgravi sul cuneo fiscale, compensati da introduzione di tasse nuove (già non dormiamo la notte in attesa dell’onnicomprensiva service-tax) e innalzamenti di vecchie.
Di tagli alla spesa non si parla più nel breve periodo, dato che subito dopo la fiducia è stato nominato Carlo Cottarelli (proveniente dal Fondo Monetario Internazionale, sarà un caso?) come Commissario alla Spending Review e dovrà lavorare mesi per dirci dove e quanto tagliare. Si tratta del 3° commissario nominato in 3 anni e viene dopo Pietro Giarda ed il mitico tagliatore Enrico Bondi, che sono serviti soltanto ad aumentare la spesa pubblica per il pagamento del loro lauto compenso. Tutti i suoi predecessori hanno ricominciato il lavoro da capo e hanno prodotto consigli inutili o inascoltati. Ci sono buone probabilità che capiti altrettanto anche stavolta, perché la spesa pubblica nutre l’enorme carrozzone dei politici e dei burocrati di stato, che la crisi non sanno certo che cosa sia, ma che sanno alla perfezione che ciò che taglia la spesa pubblica, taglia i loro privilegi.
E’ questa stabilità che serve all’Italia? Ad un paese che ha visto, dopo i due anni di “salvataggio” effettuato con la “Cura Monti – BCE”, il debito pubblico salire a 2.080 miliardi di euro, il rapporto debito/PIL passare dal 120% al 132%, il deficit/PIL riportarsi oltre il tetto del 3% imposto dalla UE, nonostante la pressione fiscale abbia raggiunto il 44,5% e quella effettiva, togliendo il sommerso, il 53,5%, mentre per le piccole e medie imprese il carico fiscale reale arriva al 68,3%. Nel 2013 pagheremo di soli interessi sul debito ben 84 miliardi (stima ufficiale di Letta), oltre 20 dei quali finiranno all’estero e una trentina alle banche italiane. La recessione intanto ha fatto perdere oltre 8 punti percentuali al PIL dall’inizio della crisi, di cui 4 proprio tra il 2012 e il 2013, gli anni del “salvataggio”. La disoccupazione giovanile ha superato il 40% e la fuga dei cervelli ha raggiunto le dimensioni di una emigrazione di massa. Intanto i piccoli imprenditori padani fanno a gara a spostare le loro produzioni in Svizzera e Slovenia, mentre molte delle migliori imprese italiane, nei settori che hanno ancora qualcosa da dire nella competitività mondiale, ed alcune attività strategiche diventano preda di acquisizioni da parte di multinazionali straniere, ben contente di spartirsi la poca polpa rimasta in questo paese.
Ripeto. E’ questa stabilità, con questi risultati, che serve all’Italia? Non credo. Questa è la stabilità di un cadavere che i lupi ed i tanti parassiti si stanno mangiando. All’Italia serve una vera e propria rivoluzione, che parta proprio dalla montagna di inutile burocrazia e non guardi in faccia nessuno, nemmeno l’Unione degli Egoismi Europei. Solo così potremo ormai tentare di spezzare il giogo che ci trascina sempre più a fondo. Senza nessuna garanzia di riuscirci, ma è sempre meglio che fare la fine del topo tra le grinfie del gatto. Questa stabilità, tanto osannata sui media, che è da anni il totem di Napolitano, serve all’ingrasso delle grandi lobby bancarie ed imprenditoriali europee, che banchettano su di noi. Le prime con gli interessi colossali che noi paghiamo ogni anno sul debito pubblico, le seconde con la possibilità di espropriarci col nostro consenso di quel po’ di made in Italy che ancora abbiamo.
Letta, come il becchino Monti prima di lui, è il garante di questa spoliazione ed è osannato per questo, come il suo predecessore, da tutto l’establishment dei poteri forti europei.
Finchè c’è Letta si può comprare l’Italia. Il carrozzone mediatico della stampa allineata provvederà ad addormentare il cervello degli italiani.