Al Default USA non crede nessuno
07/10/2013 08:54
I media continuano a mostrare i curiosi effetti dello “shutdown”, che sta colpendo gli USA e provoca una serie di spiacevoli conseguenze per cittadini e turisti. Parchi e musei chiusi, sospensione di molti servizi non essenziali, tra cui la mensa della Casa Bianca, con Obama che fa uno spot di pubblicità politica recandosi platealmente a mangiare al bar, annullamento di partecipazioni a summit mondiali perchè mancano i soldi per pagare gli aerei. Però il Pentagono non smette di funzionare.
Al di là di queste seccature, tutti concordano che il vero banco di prova della stupidità americana sarà l’accordo per innalzare il tetto del debito da trovare entro 10 giorni, dato che dopo il 17 ottobre lo Stato Federale non potrà più emettere debito pubblico e presentarsi sui mercati finanziari.
I pagamenti saranno effettuati soltanto con il gettito delle tasse e nel giro di pochi giorni si arriverebbe all’impossibilità di pagare gli interessi sul debito e di conseguenza al default tecnico.
Un evento di tale portata sarebbe devastante per la finanza mondiale ed equivarrebbe al lancio di una batteria di testate nucleari.
Ebbene, per quale motivo i mercati obbligazionari ed azionari, al netto di qualche nervosismo, necessario per smaltire gli eccessi accumulati per buona parte del mese di settembre, stanno snobbando il pericolo? Per quale motivo i rendimenti sui Treasury Bond, anziché salire, come si conviene a chi sta per andare in default, se ne stanno mogi mogi e scontano più il probabile ulteriore rinvio del tapering che il terribile stallo sulle trattative di bilancio?
Perché in realtà al default nessuno ci crede. Essendo un evento totalmente politico, che non dipende da chissà quale evento esterno, ma soltanto dalla capacità di trovare un compromesso nel braccio di ferro che si svolge tra Obama e il Tea Party, la componente più retriva del partito repubblicano, tutti sono convinti che si stia facendo manfrina fino all’ultimo per strappare il massimo delle concessioni all’altra parte, per poi mettersi d’accordo in extremis.
Inoltre c’è da pensare che qualche trucco contabile per impedire comunque il disastro immediato oltreil 17 ottobre, sia già stato predisposto dai tecnici governativi. Per cui soltanto una clamorosa ed ostinata rottura, ben oltre la caduta di tutta la sabbia della clessidra, potrebbe generare il disastro.
Siccome allora tutti pensano che il raggiungimento sofferto di un accordo inevitabile scatenerà il rally di fine anno, ecco che c’è più paura di essere tagliati fuori dal successivo rally che di subire il default.
La correzione laterale potrebbe perciò continuare ancora qualche giorno, ma i mercati si preparano a saltare in groppa al toro, che sarà ben rappresentato dai tecnologici, con in testa Twitter, la futura star del Nasdaq .
Un Toro che sembra già voler cavalcare il nostro FTSE-MIB. Venerdì l’ottimismo per la partita vinta da Letta ha ridimensionato lo spread verso i minimi pre-crisi e galvanizzato i bancari. L’indice delle blue chips ha così superato anche quota 18.300 e confermato il superamento di importanti resistenze.
Occorre però che la corsa prosegua fin da subito, dato che intanto gli ultimi massimi ascendenti hanno generato significative divergenze ribassiste, che potrebbero preludere a possibili inversioni se la forza del rialzo non riuscirà subito a confermarsi.
Non è un impegno da poco, dato che il week-end ha evidenziato che Alfano sembra aver definitivamente smarrito il coraggio della scorsa settimana e si accontenta di qualche testa di falco da impagliare, mentre il progetto di divincolarsi da Berlusconi sembra già tramontato ed il tira e molla per salvare il leader è già ricominciato.